Chi vuole trascorrere un fine settimana in Piemonte alla scoperta di monumenti storici meno noti ma altrettanto preziosi di quelli più celebri, facendo conoscenza di un’architettura orgogliosamente popolare, del lavoro di borghi isolati, di stretti vicoli di villaggi aggrappati a improbi pendii può scegliere l’Alto Vercellese. In Valsesia (e nelle conche laterali) si possono conoscere artigiani che vivono ancora, appartati, sottratti agli occhi dei turisti dello svelto va e vieni, reconditi apostoli di una sapienza teorica e al tempo stesso reale che fa leva sull’utilizzo di materie prime ottenute secondo i principi della natura. Queste taciturne valli serbano numerose figure di artigiani fuori dal tempo, ancestrali missionari di un mondo agreste e semplice che si vuole (far) dimenticare. C’è a Varallo un vicoletto dalle luci soffuse dove un macellaio predica e professa quelle leggi non scritte della sobrietà: un’insegna quasi impercettibile e luci al neon all’interno. Un bancone ben fatto ma privo di ogni lusso che esprime, fine 2024, i prezzi in lire accanto a quelli dell’attuale conio.
Riccardo Borgatta si lascia trasportare presto verso il dialogo, la conversazione più schietta. “Non ho mai abbandonato le abitudini di mio padre Remo, che iniziò nel 1950 l’attività di macellaio. Sono cresciuto in macelleria e al termine della la scuola media conoscevo già il futuro che mi aspettava. Un futuro che ripercorrerei subito”. Carni ben disposte, ma anche salumi che colorano le pareti sospesi a ganci a S. La regina è la mocetta, preparata con magatello bovino rifilato con cura dalle parti grasse e marinato per almeno un mese in vino bianco con sale, pepe, ginepro, rosmarino e salvia (telefono 016351118).
Girata a mano ogni giorno per assorbire ed esaltare gli umori, si stagiona per altri 30 giorni prima di essere affettata sottilmente e usata come merenda o con la toma locale nelle miacce, una cialda che deriva dalla pastella di acqua, farina, uova e panna arroventata tra due dischi di ghisa. Si possono provare, arricchite da tante diverse farce, alla Miacceria di Silvia Strada, sulla piazzetta del viale principale di Varallo (lamiacceria.it). Chi vuole prepararsele a casa, chiede che siano messe sottovuoto, ideale per il trasporto.
Vale la pena fare provvista anche di una pagnotta locale poco zuccherata, la piotta, ricca di frutta secca: fichi, susine, uvetta (in copertina). Esce dal forno di Eleonora Dentella insieme a una dozzina di pani diversi e altrettanti manicaretti (panificiodentella.com).
Agli amanti dell’arte Varallo è nota per il Sacro Monte, la Parete gaudenziana e la collegiata di San Gaudenzio. Quest’ultima si apprezza proprio in centro, appollaiata su un promontorio roccioso. Basta una passeggiata di pochi minuti per raggiungere la chiesa di Santa Maria delle Grazie che invece conserva il capolavoro di Gaudenzio Ferrari, il maestoso affresco che raffigura 21 scene della vita di Gesù. Il Sacro Monte è più discosto. Si tratta di un insieme di cappelle erette tra Cinque e Seicento dedicate a differenti aspetti della fede cristiana e come gli altri otto dell’Italia settentrionale rientra nel Patrimonio dell’umanità UNESCO. Qui le cappelle sono 45, immerse in un bosco di 22 ettari e deliziosamente affrescate, e nella parte più alta si trova anche la basilica. Una stretta forra attraversa la Valmastallone. Di tanto in tanto compare un grappolo di case aggrappate alla riva del torrente. Nosuggio è una minuscola località che prende il nome dal nasiggio, che in lingua locale indica lo scarto della lavorazione delle noci.
Proprio qui, a 665 metri di altitudine, Federica Ferro ha ripreso l’antica usanza locale di produrre olio di noci, ottenuto macinando, tostando leggermente e spremendo i malli. Dorato e delicato, si presta a condire a crudo le verdure (aziendaagricolavalmastallone.com).
Più su Cervatto e Fobello sono piccoli borghi, nell’Ottocento mete di vacanza della borghesia piemontese e lombarda. Un reticolo di sentieri sembra studiato apposta per gli appassionati delle camminate in solitaria. Il percorso più affascinante parte da Fobello e giunge al lago Baranca, sorgente del torrente Mastallone, lungo una strada lastricata che risale al 1887. Serve una giornata per godersi appieno il paesaggio e scambiare in estate quattro chiacchiere con i pastori. A Fobello bisogna farsi indicare il panificio di Eugenio Pol, noto come Vulaiga. Vulaiga è un termine locale non facile da tradurre che indica lo svolazzare dei primi fiocchi di neve o la sospensione della cenere nell’aria all’uscita dal camino. Personaggio di grande carisma, ricorda che il pane è prodotto dell’uomo da migliaia di anni, “ben da prima che venissero questi qui a raccontarci della farina 00, del W, del valore di P/L. Sigle che servono agli imbonitori come i cerusici medievali circuivano il popolo”. Secondo Vulaiga “il pane è frutto dell’arte del contadino di produrre un cereale adatto; è frutto dell’arte del mugnaio di utilizzare quel cereale al meglio. Solo alla fine arriva il fornaio, che con l’esperienza sa servirsi del talento dei primi due”. Quanto ci sarebbe bisogno di personaggi così nel mondo patinato del cibo... Chi ha più tempo lascia il Sesia verso la parallela val d’Egua.
Elena Quazzola abita a Carcoforo e alleva capre e vacche nell’agriturismo di famiglia Brüc. Nella piccola sala di stagionatura accanto a tome e burro matura in piccoli orci il salagnün, un impasto di formaggi aromatizzato con cumino, erbe officinali e talvolta peperoncino. “Un prodotto grumoso e compatto dal gusto forte che noi spalmiamo sul pane di segale” spiega. Con il profumo delle spezie che inonda la stanza (FB: aziendaagricolaagrituristicabruc).
Riccardo Lagorio,
dicembre 2024