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Per le strade di Palermo

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Qui, dove sono passati mille popoli diversi, si fondono tutti gli stili del mondo, l'arte trionfa, lo sfarzo si mescola alla semplicità e dalle cucine escono solo capolavori

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Palermo sì, ma quale? L’araba o la normanna? La città plebea o la capitale aristocratica? Quella dei mercati o quella dei palazzi? Non è facile da descrivere Palermo, ma scoprire il suo mood è semplicissino: basta seguire i profumi intensi che portano verso il mare o verso un venditore di “panelle” (le frittelle di farina di ceci), verso i banchetti dove si compra il “pani c’a meusa” (lo spuntino culto in città, a base di milza) o verso gli affollati mercati della Vucciria, di Ballarò, del Capo.

Intessuta di vicoli, come nei suk maghrebini, e percorsa da viali maestosi, come nelle capitali europee, i suoi tesori d’arte sono infiniti perché tutti i popoli passati di qui hanno lasciato i segni della loro dominazione, che via via si sono stratificati in mix inediti e introvabili altrove. E così le severe geometrie islamiche sono ingentilite dall’oro dei mosaici orientali nelle residenze della Zisa e della Cuba e nel Palazzo dei Normanni, abitati, secoli fa, dai raffinati sovrani nordici. E le chiese? San Giovanni degli Eremiti, San Cataldo, San Giovanni dei Lebbrosi sono luoghi di culto cristiano ma cupole e decorazioni sono ispirati alle moschee musulmane. La Cattedrale, poi, è un vero “racconto in pietra” dove convivono iscrizioni del Corano e merlature normanne, torri gotiche e porticati catalani, cupole barocche e interni neoclassici.

54107Verso il mare, invece, si trova testimonianza della dominazione aragonese: piazza Marina circondata da palazzi (Steri-Chiaromonte e la Zecca) e chiese (Santa Maria della Catena e Santa Maria dei Miracoli). E ancora, ecco i palazzi delle ricche famiglie palermitane imparentate con quelle dei nobili invasori: Palazzo Mirto, nel cuore della Kalsa, diventato “museo di se stesso” con arredi, decorazioni e oggetti d’arte custoditi nei sontuosi saloni, e il cinquecentesco Palazzo Branciforte (restituito al suo splendore dal restauro di Gae Aulenti), dove sono esposte impagabili maioliche e sculture.

Alla interminabile dominazione spagnola, poi, si deve la grande fioritura di palazzi, chiese, conventi in stile barocco: la Chiesa di San Domenico, con la facciata dalle linee sinuose, l’Oratorio del Rosario di Santa Cita, decorato con putti, volute, ghirlande e festoni, la monumentale Chiesa del Gesù, con l’interno ricoperto di stucchi e marmi colorati, la pittoresca scenografia dei “Quattro Canti”, all’incrocio tra via Vittorio Emanuele e via Maqueda, formata dalle facciate concave di quattro palazzi, arricchite di statue, fontane e stemmi. Proprio a due passi da qui si scopre l’eleganza rinascimentale del Palazzo delle Aquile e della Fontana Pretoria, affollata di statue di divinità ed eroi nudi (per questo ribattezzata “fontana della vergogna”). E la città ottocentesca, quella cresciuta dopo l’Unità? È la grande Palermo, con le spettacolari piazze Verdi e Castelnuovo, dove sorgono i due teatri più famosi: il Massimo e il Politeama. E tutt’intorno il “salotto buono”, con le vie dello shopping, le architetture liberty, i negozi più raffinati.

La cucina del mondo

54110Le interminabili dominazioni di popoli diversissimi tra loro hanno lasciato il loro segno anche nella cucina, dove il dolce si accosta al piccante, l’ingrediente costoso si abbina a quello rustico, il pesce si unisce alla carne e alle verdure. Queste ultime, poi, con i loro sapori decisi, assumono spesso il ruolo di protagoniste assolute in preparazioni dalla particolare carica inventiva, come per esempio la caponata. Le specialità palermitane non sono solo quelle uscite dalle cucine dei monsù (come venivano chiamati i cuochi) assunti dai Gattopardi (i nobili, per analogia con il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa), ma si ritrovano sulle bancarelle dei mercati o nei chioschi disseminati in città e sono panelle, meusa, stigghiole (spiedini di interiora d’agnello), sfincioni (pasta lievitata condita con salsa di pomodoro, cipolla e caciocavallo) e crocchè (polpettine di uova e patate).

Per non parlare della pasticceria: una serie di ghiottonerie fusion dove convivono influssi di arabi, bizantini, spagnoli, francesi. La lavorazione della pasta di mandorle, per esempio, ha antiche ascendenze arabe anche se poi diventò la specialità di un convento di Palermo, quello della Martorana, tanto che i fruttini in vendita nelle pasticcerie della città sono chiamati appunto “frutta di Martorana”. Anche la mitica cassata è già citata in antichi ricettari arabi, ma furono sempre le suore dei conventi della città a regalarle la sua composizione definitiva, aggiungendo nel corso dei secoli, ingredienti sempre più ricercati e preziosi come il cioccolato, la frutta candita, la pasta di mandorle.

a cura di Cristiana Cassé, testo di Enrico Saravalle, foto di Adriano Brusaferri e Bianca Puleo

Le ricette tradizionali

TAG: #Sicilia

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