Gröden in tedesco, Gherdëina in ladino, Gardena, in italiano. Comunque la si chiami, il fascino di questa Valle resta invariato: siamo nel magico mondo di roccia del Sassolungo, del Cir, del Sella, e nel paradiso degli sciatori, con le piste da record di Ortisei e del Ciampinoi, di Col Raiser e del Seceda, di Piz Sella e del Saslonch. Per entrare in questo piccolo eden basta lasciarsi alle spalle l’autostrada del Brennero e raggiungere la deliziosa Ortisei. Qui, lungo la Streda Rezia, salotto buono e via dello shopping griffato, si affacciano con i loro colori pastello le case e le residenze in stile neoasburgico, impreziosite da loggette e cupole e abbellite da fregi e affreschi naïf.
Proprio all’inizio della via, c’è la Parrocchiale dedicata a Sant’Ulrico (il protettore di Ortisei): una grande costruzione di epoca barocca, dove la fantasia e l’arte degli intagliatori gardenesi hanno dato vita a statue lignee di santi e martiri, tabernacoli e pulpiti, balaustre e panche, creando un effetto d’insieme davvero sorprendente. Non a caso, la lavorazione del legno è una delle più antiche risorse della valle e già dal ‘600 ha assunto la dignità di una vera e propria forma d’arte, dando luogo a innumerevoli e pregiate opere di ispirazione sia sacra che profana. Tutt’oggi nelle botteghe artigiane si assiste alla creazione di piccoli capolavori (spesso gli scultori lavorano “in vetrina”) e, appena fuori dal centro abitato, alla Galaria Unika, si possono vedere le ultime opere degli artisti gardenesi esposte in un mostre antologiche. Ideale anche una visita al Museum Gherdëina, che raccoglie invece le testimonianze del passato, dai giocattoli alle sculture di varie epoche. Tra le statue conservate al Museum ci sono anche quelle che un tempo ornavano la chiesa di San Giacomo (raggiungibile dall’omonima frazione), la più antica della valle, assolutamente da vedere per i suoi coloratissimi affreschi.
Lasciata Ortisei, eccoci nella vicina Santa Cristina, seconda petite capitale del territorio. Testimonial della sua lunghissima storia è la chiesa dedicata alla santa, in cui convivono i vari stili che si sono avvicendati in Val Gardena: il romanico della torre campanaria, il gotico del coro e il barocco del ricchissimo altar maggiore realizzato dai Vinazer, una delle più celebri dinasty di intagliatori. In paese è anche visibile (tutto l’anno) un presepe da Guinness, le cui “statuine” raggiungono i due metri di altezza e aumentano di numero ogni. Il benvenuto a chi si dirige verso Santa Cristina lo dà Castel Gardena, nato nei secoli bui del Medio Evo per difendere e controllare la strada di fondovalle. Nel corso del tempo i Wolkenstein, feudatari di questi luoghi, lo utilizzarono come castello da caccia e residenza estiva e lo ristrutturarono dotandolo di torri minacciose, massicci avancorpi e grandi finestroni.
Prima che la strada salga dal fondovalle fino ai passi Gardena e Sella, ecco il centro abitato di Selva che, all’interno del parco naturale Puez Odle, è sovrastato dai monti Stevia, Chedul e dalle Torri del Cir. Un vero paradiso per sciatori e amanti degli sport bianchi, ma anche un paese bello da visitare, con la chiesa di Santa Maria ad Nives (dal barrocchissimo e doratissimo altare) e il Tublà da Nives, un vecchio fienile (tublà, in ladino) riconvertito dagli architetti della valle in centro espositivo.
Le buone cose di una volta
Quella gardenese è una cucina a “km zero” ante litteram: gli antichi ricettari dei masi e delle baite prevedevano infatti l’utilizzo esclusivo di prodotti poveri del territorio, come patate, segale, avena, latticini, carne di maiale o agnello oppure selvaggina. E così i piatti forti delle cucine ladine sono i Crafuncins (ravioli di spinaci), la Panicia (minestra d’orzo e speck), la Jufa (mousse di latte e farina di mais), i Bales de furmenton (canederli di grano saraceno), i Tutres (frittelle agli spinaci e ricotta), i Crafons da pavè (Krapfen ai semi di papavero). Oggi è bello scoprire che i ristoranti gourmet di Ortisei, Selva e Santa Cristina propongono ancora queste corroboranti prelibatezze; bontà veraci che, a parte qualche necessaria rivisitazione, hanno sempre il sapore, il profumo e, nondimeno, il fascino delle buone cose di una volta.
a cura di Cristiana Cassé, testi di Enrico Saravalle, realizzazione e foto dei piatti di Ilva Beretta