Solisti in coppia: sono Remo e Mario Capitaneo, al quale dobbiamo l’insolita definizione che, tuttavia, ben inquadra il sodalizio tra fratelli, prima ancora che chef, alle prese con la prima apertura tutta loro, il milanese Verso. L’indirizzo importante, piazza del Duomo, li pone al centro di un quadrilatero che sfoggia nomi di rango: a pochi isolati di distanza, infatti, brillano le stelle di Antonio Guida, Carlo Cracco, Giancarlo Perbellini, Niko Romito, Alberto Quadrio con i loro locali che stanno cambiando la fisionomia gastronomica del centro di Milano, nuovo place to be per gli appassionati di fine dining.
Cucinare in piazza del Duomo
Verso ha aperto alla sua clientela (già allertata da un fitto passaparola) solo lo scorso 20 dicembre. Se è presto per fare un primo bilancio, l’entusiasmo è comunque palpabile: “Abbiamo colpito piazza del Duomo al cuore”, esclama Mario. La formula segreta per affascinare i gourmand al primo sguardo è la cucina a vista. Non per modo di dire: banchi e fornelli sono del tutto aperti sulla sala, sormontati da cappe super potenti che lasciano intatto il piacere di assistere, come a teatro, alle gesta dei fratelli e della loro brigata. Intorno, tre lunghi tavoli di design, imponenti monoliti in lucido marmo, ai quali possono sedersi fino a una ventina di appassionati.
Gli ospiti possono così godere del piacere di accomodarsi a questi grandi chef’s table: un privilegio in genere riservato a pochi commensali, che da Verso diventa la cifra stilistica dell’accoglienza e ne ha ispirato il nome. Infatti la cucina, e quindi l’attenzione da parte degli chef, è rivolta totalmente nella direzione del cliente: verso il cliente, dunque, situato al centro perché possa vivere il pranzo o la cena con una prospettiva diversa da quella di un ristorante tradizionale. Senza rinunciare, per chi li preferisca, a una decina di posti a tavoli “convenzionali”, oltre all’esclusività della saletta privata.
Una carriera in coppia
Non è la prima volta che Remo e Mario lavorano insieme: sono già stati fianco a fianco in tante cucine blasonate, dal Quisisana di Capri al Trussardi di Andrea Berton, prima esperienza milanese, fino al ristorante di Enrico Bartolini al Mudec. Oggi, possono proporre la loro cucina senza filtri, armonizzando le rispettive diversità con uno spirito collaborativo non comune tra fratelli: “In effetti, abbiamo imparato prima a picchiarci, poi a rispettarci!”, chiosa sorridendo Mario rievocando l’infanzia in quel di Foggia, da cui i Capitaneo sono partiti alla volta del viaggio che li ha portati, infine, nel centro di Milano. Oggi, ai fornelli non ci sono cariche e giocano alla pari. Così anche la brigata, dove non sono assegnati incarichi immutabili: “Quando facciamo i colloqui, diciamo ai ragazzi che dovranno fare tutto: dai soufflé alle carni, dai risotti alla pasticceria”, continua. “I ruoli sono intercambiabili, anche nell’esecuzione dei singoli piatti”.
Libertà tecnica
La cucina dei Capitaneo è molto tecnica, molto originale, ma anche molto libera. Leggendo il menu, saltano agli occhi accostamenti inusuali e ricerca della materia prima, con qualche inevitabile richiamo alla Puglia: “Non è stata una cosa voluta”, sottolinea Mario (il più loquace fra i due). “In realtà abbiamo cercato di dimenticare la nostra regione di origine, ma non abbiamo potuto tradirla!” Così, in carta compaiono i marasciuoli, una ruchetta spontanea che rifinisce gli spaghetti al granchio, e le carote di Polignano a chiudere l’entrée di capesante e foie gras con zafferano (nella foto in basso).
Ma c’è molta altra Italia e tocchi internazionali: dai cardi gobbi di Nizza Monferrato abbinati ai cacciaroli (calamari) con curry e caviale, al vitello crudo con ricci di mare e cachi marinati, dai mediterranei ravioli con capperi e olive, con rombo e lemongrass, al pollo ruspante arrosto con roveja (un legume rustico della famiglia dei piselli), canestrelli e tartufo nero. Tocchi inaspettati anche al momento del dessert: il soufflé al cioccolato (nella foto in basso) si accompagna con clementine al pepe, la meringata di castagne con melagrana accentua il sentore di bosco con i funghi, la nocciola è accostata a un caramello salato e a un pane alle spezie.
“Nell’ideazione della carta, siamo partiti concentrandoci sulle idee”, racconta Remo. “Abbiamo deciso di proporre ‘solo’ tre antipasti, tre primi, tre secondi, tre dolci. La degustazione prevede sei passaggi, ma se arriva l’appassionato che chiede piatti in più siamo sempre pronti con fuori menu espressi”. L’improvvisazione è sempre pensata, nei forni e sui fornelli sono avviate più preparazioni in contemporanea, uno accanto all’altro sobbollono jus di agnello, fondi di carne e brodi di funghi, così è possibile cambiare al momento un piatto, su richiesta del cliente, per renderlo veg o per accontentare un desiderio specifico. Un approccio taylor made, su misura di una clientela eterogenea che durante il servizio interagisce con la cucina, ma anche con gli altri “compagni di banco”.
È l’evoluzione del tavolo conviviale: “Abbiamo visto ragazzi molto giovani e informali confrontarsi con coppie più adulte e compassate”, raccontano. “Un’interazione fra due realtà diverse, unite dal cibo”. Del resto, loro stessi rappresentano mondi differenti. Il maggiore, Remo, all’apparenza più sobrio e riflessivo del fratello, è innamorato di street art e musica hip hop: “L’ingrediente del cuore? Le animelle!”, dichiara. Il più giovane, Mario, ciuffo ossigenato e look rock’n’roll, ha una passione per la moda, i profumi raffinati e, in cucina, per il lievito madre e le lavorazioni a base di acqua e farina: “Ingredienti semplici, ma complessi da manipolare”. Anche in queste scelte di gusto si possono cogliere individualità e peculiarità dei fratelli. E apprezzare ancor di più l’armonia che scaturisce dal loro incontro, dal loro confronto.
Francesca Romana Mezzadri
Febbraio 2023