Brioso chef modicano, Carmelo Chiaramonte ha con la cucina un approccio creativo e geniale, che abbraccia le attività più diverse.
Autore di diversi volumi, tra cui A tutto tonno, Il cibo da strada di Catania e curatore della monografia Arancia. Percorsi Siciliani di natura, cultura e gastronomia, ha svolto collaborazioni giornalistiche (La Sicilia), ha lavorato come autore televisivo e contribuisce a progetti teatrali, in qualità di scenografo e anche di attore.
Come chef si è formato in Sicilia, radicandosi nelle abitudini alimentari dell'area orientale, da Modica, a Siracusa e a Catania (qui è stato chef de Il Cuciniere del Katane Palace Hotel). Si è spostato poi in Liguria, in Veneto e all'estero. Ora vive sulle pendici dell'Etna, da dove si muove spesso per i suoi numerosi impegni.
Cuciniere errante, come lui stesso ama definirsi, lo abbiamo incontrato nella vivace corte del Cluster Biomediterraneo di Expo2015, intento a insegnare ai bambini a impastare e apprezzare il profumo delle arance in collaborazione con Oranfrizer.
Chef ma non solo: qual è il tuo mestiere?
In effetti sono 8 anni che non esercito come chef. Oggi mi occupo di consulenza gastronomica, di didattica e di catering. E, siccome sono esuberante, da 4 anni mi sono affacciato al mondo del teatro; ho fatto anche l'attore, design pubblicitario di tipo gastronomico, consulenze alimentari alle aziende artigianali di cibo. E poi c'è la mia passione: scrivere libri.
Tanti mezzi, tante situazioni...
E tanti interlucutori molto diversi. Una dialettica molto varia. Io sono uno che è rimasto indietro: più che la tecnica per me conta la storia, il prodotto.
Quindi in cucina il vero cardine è il prodotto?
L'unica evoluzione tecnologica per me è il frullatore. Non mi piace intervenire sulla materia e sconvolgerla. Lo trovo un percorso facile. Difficile, invece, è andare a cercare diverse varietà di agrumi o di erbe selvatiche. Io cerco di fare ricerca botanica in Sicila, Trentino, Veneto, Lazio, in Campania.
E l'estetica conta?
L'estetica vale ma nel senso filosofico del termine: quindi etica. Significa dare voce di chi c'è prima di noi, a partire da agricoltori e contadini. Estetica per me è il legame con la cultura popolare. Non sono certo un cuoco pettinato: non lo sono mai stato.
Quale rapporto c'è tra tradizione e innovazione?
La tradizione oggi è legata ai prodotti commerciali. Io cerco di fare altre cose. Qualche giorno fa sono riuscito a realizzare con Buonaiuto il primo cioccolato con inflorage di rosa bulgara. Una cosa talmente vecchia che è davvero moderna. La vera innovazione sta nel ritorno al passato. Gli ultimi 40 anni hanno devastato i nasi della gente, soprattutto in pasticceria. Ci sono solo aromi sintetici. Invece, quando si fa sentire un aroma vero, la gente si accende. Più futuro di questo...
Cosa ci vuole per stuzzicare nasi e palati disabituati?
L'educazione al naso dovrebbe entrare nelle riforme della scuola. Bisognerebbe insegnare ad accettare e riconoscere puzza, contropuzza, fermentato, profumato, profumatissimo. Oggi la gente, per pigrizia, preferisce un formaggio che non sa di formaggio, un pollo che non sa di pollo, un fungo che non sa di fungo.....
Quale sarà l'evoluzione della cucina?
L'alta cucina parla solo a pochi. Si manterrà bene la ristorazione classica, del tortellino o dello spaghetto con la bottarga di Cabras. Quella deve andare avanti: se gli spaghetti al pomodoro esistono da 100 anni e sono rimasti spaghetti al pomodoro c'è un motivo.
E il futuro come lo vedi?
Purtroppo lo vedo fatto di cibo stampato con una stampante in 3D, caricata con cartucce di vitamine e sali minerali. A mangiare queste pietanze immagino gente depressa che vive a casa e svolge fantomatici lavori digitali per conto d'altri.
E invece come lo vorresti?
Mi ha incoraggiato la classifica dei libri più venduti iin Italia pubblicata nel 2014 dal Corriere della Sera: fra i primi 50 c'è il Calendario delle semine e delle fasi lunari. Sintomo di una nuova voglia di tornare alla campagna. Senza però averne i mezzi: senza conoscere le codifiche del vento, le annusate della pioggia. Se si torna alla terra è tutto di guadagnato. Ci vuole un po' di coraggio e tanta voglia di fare.
Livia Fagetti
15 maggio 2015