All’apparenza, fine dining e street food sono due modi di intendere la cucina agli antipodi. Da un lato l’alta cucina, tecnica nelle esecuzioni e ricercata nei gusti. Dall’altro, il cibo di strada, immediato e popolare. È possibile sposare queste due filosofie, a prima vista opposte? Ne è convinto Eugenio Roncoroni, chef che ha appena inaugurato a Milano il terzo locale (a Porta Nuova) con un format unico nel suo genere: da un lato il ristorante, Al Mercato Steaks & Burger, accanto lo spin off Street, specializzato in take away e delivery. Due attività solo apparentemente divise. Perché se è vero che l’offerta delle due cucine è sostanzialmente differente, in entrambe si riconoscono la mano e il pensiero di Roncoroni. Che ha portato in carta al ristorante elementi rubati alla cucina di strada, e viceversa. All’insegna della libertà.
Milano, mondo
Liberarsi da regole e preconcetti è stata l’idea alla base di Al Mercato, aperto nel 2010 come bistrot e gastronomia (due locali distinti, comunicanti attraverso la cucina) insieme all’amico e socio Beniamino Nespor, scomparso nel 2016. Dopo aver passato lunghi periodi in giro per il mondo, dagli Stati Uniti all’Estremo Oriente, i due giovani soci, allora 27enni, avevano un’idea ben chiara in mente: “In Italia, o facevi panini o facevi alta ristorazione”, ricorda Roncoroni. “La cucina era ingessata all’interno di canoni rigidi”. Che la coppia di cuochi intendeva infrangere. Come Roncoroni ebbe modo di dichiarare in passato, l’intento era quello di “portare Milano nel mondo, e il mondo a Milano”.
Un hamburger iconico
Negli States, anche i grandi chef iniziavano a cimentarsi nelle cucine più pop. Emblema di questo nuovo mood era l’hamburger. Oltreoceano se ne mangiavano di sontuosi, con salse elaborate, guarnizioni costruite, panini studiati ad hoc. A Milano non esisteva niente del genere. “Non volevamo fare un’imitazione, né tantomeno una versione all’italiana, un hamburger con sapori nostrani”.
“Volevamo proporre l’originale americano, fatto bene”. Un’intuizione destinata a rivelarsi vincente: nel giro di un paio d’anni tutta la città parlava del loro hamburger come il migliore di Milano e non c’è dubbio che i “moderni” burger gourmet siano tutti, chi più chi meno, figli di quell’esperienza. L’iconico panino meritò uno spazio tutto suo, il Burger bar, e un posto d’onore nella carta del bistrot, dove i due chef potevano esprimere la loro creatività. Celebrata, in quegli anni, anche da Le Grand Fooding, movimento culinario nato in Francia e sbarcato a Milano proprio nel 2010, con l’obiettivo di scovare e valorizzare locali e chef fuori dagli schemi (e dalle guide paludate), ma capaci di regalare un’emozione.
Alta cucina, prodotti poveri
“Il nostro modo per portare lo street food al ristorante fu quello di applicare tecniche di alta cucina a prodotti poveri, farlo diventare parte di una cucina più pensata e complessa”, spiega Roncoroni. Fra le (ri)scoperte di quegli anni quella del quinto quarto, dei tagli dimenticati come le animelle, le costine di maiale (nella foto in basso) o la selvaggina, non così comuni sulle tavole cittadine.
Sull’onda di un successo per molti versi travolgente, l’avventura proseguì con altre due aperture: il Taco bar, di ispirazione messicana, e il Noodle bar, dedicato alla cucina asiatica, decisamente improntati ai “mangiari di strada”. Chiuso il primo dopo la scomparsa di Nespor, anche il secondo ha calato la saracinesca appena prima dello scoppio della pandemia. Tuttavia, entrambe le esperienze hanno lasciato il segno.
Una nuova formula
Il periodo del lockdown è stato, per Roncoroni, l’occasione di ripensare una formula, quella di Al Mercato, che nel corso di una dozzina d’anni ne aveva passate molte: da un lato l’impostazione del ristorante iniziava a mostrare segni di stanchezza, dall’altro il bagaglio di esperienza accumulato aveva bisogno di una nuova cornice. L’occasione è stata l’incontro con un imprenditore, Marcello Rizza, e la scintilla di una nuova intuizione: in città non esisteva una steak house all’americana, né il corrispondente europeo, la brasserie francese. Così è stata la carne, già cavallo di battaglia dello chef, il punto di partenza del progetto che ha visto una completa ristrutturazione della sede originale di Al Mercato, seguita da due nuove aperture. L’ultima delle quali, come si diceva, affiancata dallo “street bar”.
Al ristorante
Rispetto alla complessità della carta di un tempo, al ristorante l’offerta si è in un certo senso semplificata per rispondere alla logica di quella che, di fatto, oggi è una catena, di cui Roncoroni è executive chef. Questo senza snaturare la cucina del cuoco milanese che da sempre gioca con gli opposti: che siano i cibi pop e l’haute cuisine, oppure il mondo della carne e quello vegetale. In tutti e tre i locali il menu, la materia prima, la ricettazione delle proteine, gli starters e i piatti a base di ortaggi sono i medesimi. Mentre agli chef responsabili delle singole cucine è lasciata la libertà creativa di giocare con i contorni per personalizzare le portate principali.
In carta convivono, senza fare a pugni, succulente ribs in salsa BBQ e torchon de foie gras d’oca con panbrioche al tartufo, patè en croute (patè di pollo, rognoni di coniglio e animelle) e gli immancabili hamburger, classici o creativi, come il Tartare con battuta di manzo o il Surf’n’turf (mare e monti, nella foto in alto) con gamberoni fritti, avocado, coleslaw (insalata di cavolo e maionese) e San Francisco cocktail sauce.
Sulla brace finiscono carrè di agnello (nella foto), pregiati tagli di Wagyu (la prelibata razza bovina giapponese) e di maialini da latte, ma anche le melanzane e i pomodori della parmigiana, le baked potatoes con crumble di bacon o il pollo della Caesar wedge salad, con spicchi farciti di insalata iceberg. Il tutto innaffiato da champagne francesi o birre lager americane, riesling alsaziani o sakè giapponesi.
A passeggio
La firma di Roncoroni sull’offerta Street è immediatamente riconoscibile nei burger in tre versioni (pollo, manzo e plant based, ovvero a base di proteine vegetali), nelle french fries classiche, spicy (piccanti), al tartufo o all’alga nori, negli onion rings, anelli di cipolla pastellati e fritti.
Il capitolo panini annovera hot dog con chili di carne e cuban sandwich con maiale arrostito, mortadella e cetrioli sott’aceto (nella foto in alto). Il ritorno alle origini di Taco e Noodle bar è nelle specialità messicane, dai nachos ai burritos, e in quelle orientali come gyoza, ramen e teppanyaki (noodles all’uovo, di grano saraceno o di riso nero). Come osserva lo chef, “ristorante e street food sono due esperienze diverse che possono rispondere a desideri diversi o a differenti momenti della giornata”.
Così, il takeaway si porta in pausa pranzo alla vicina Biblioteca degli alberi, il giardino botanico più cool di Milano. Mentre la cena si degusta intorno alla grande cucina, aperta sulla sala, godendo della vista sui nuovi grattacieli meneghini.
Francesca Romana Mezzadri
Maggio 2022