È tornato con l'autunno, a scuole avviate e ferie ormai finite. È il pangasio, filettoni di pesce bianco e un po' insapore, che troviamo spesso nelle mense aziendali e in quelle scolastiche dei nostri figli. C'è chi lo mangia senza sapere davvero cos'è. E chi lo disdegna convinto che sia quasi un veleno, pieno di mercurio e altri inquinanti.
Il pangasio è un pesce d'acqua dolce, della stessa famiglia dei pesci gatto, originario dell'Asia indo-cinese. Viene allevato soprattutto alla foce dei fiumi vietnamiti. È senza spine e senza odore di pesce (né uno spiccato sapore per la verità) e sui mercati nazionali arriva congelato. Il suo punto di forza, che ne ha favorito la diffusione nella ristorazione collettiva, è il prezzo: 3-4 euro/kg all'ingrosso che diventano non più di 8/10 al dettaglio.
Il motivo di un prezzo così basso è nella facilità di allevamento. È un pesce molto resistente, non ha un'alimentazione selettiva (in natura si nutre di vermi, crostacei e piccoli vegetali, come i semi). È di grandi dimensioni, con poco scarto e molta carne, e soprattutto cresce molto velocemente, raggiungendo in breve tempo fino a un metro e mezzo di lunghezza e 20 kg di peso.
Da un punto di vista nutrizionale il pangasio non vale un granché. Valutato in uno studio dell'Inran (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e Nutrizione) è risultato inferiore rispetto alle specie ittiche abitualmente consumate in Italia. Il tenore di proteine è basso, alto invece il contenuto di acqua. L'apporto di grassi è modesto ma tra questi circa la metà è di tipo saturo a svantaggio dei tanto utili polinsaturi e degli Omega 3. In più è ricco di sodio dovuto probabilmente a un additivo (E451), che viene aggiunto per migliorare la ritenzione di acqua del prodotto al momento dello scongelamento e migliorarne così le qualità organolettiche. Non spiccano infine vitamine degne di nota.
Al di là degli aspetti nutrizionali, ciò che solleva maggiori preoccupazioni sul pangasio è, il rischio di contaminazioni ambientali visto che viene allevato in acque ad alto rischio di inquinamento. I Paesi asiatici sono molto attivi nel settore dell'acquacoltura e devono rispondere alle normative in vigore nel loro Paese che, secondo Federcoopesca-Confcooperative, non sempre sono restrittive come le nostre.
In Italia comunque le importazioni sono sottoposte a controlli ispettivi presso i Posti di Ispezione Frontalieri (PIF) come tutti i prodotti provenienti da Paesi terzi.
Oltre alla verifica della certificazione che accompagna il prodotto, i servizi veterinari effettuano il prelievo di campioni dalle partite e le inviano ai laboratori degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali per la ricerca di residui di farmaci e contaminanti (metalli pesanti, PCB, pesticidi). In caso di esito sfavorevole, vengono intraprese misure sanitarie specifiche e viene attivato il sistema di allerta comunitario (RASFF) al fine di estendere le misure di controllo su tutte le partite della stessa tipologia e provenienti dal Paese che le ha esportate.
In conclusione, pur essendo un pesce di bassa qualità, non ci sono evidenze e non si può affermare che il pangasio faccia male alla salute. Può invece fare male al portafoglio, perché l'aspetto anonimo dei filetti favorisce le truffe alimentari: può essere venduto o servito al ristorante spacciandolo per pesci più pregiati come merluzzo, gallinella, cernia.
Il consiglio di Federcoopesca-Confcooperative è semplice: "meglio consumare le carpe, lontane cugine di questo prodotto per il loro posizionamento nella catena alimentare ittica, ma più buone e soprattutto tracciate dall'allevamento alla tavola".
Barbara Galli,
14 ottobre 2014