Farina francese o ucraina, mozzarella ottenuta con cagliate provenienti dall'Europa dell'est, olio di oliva spagnolo o tunisino, pomodoro "arrotondato" con concentrato cinese: decisamente la "margherita" non è più quella di una volta. Ma nemmeno la "napoletana" si salva: le alici arrivano dalla Bulgaria e i capperi dal Marocco. Ad affermarlo è la Coldiretti, secondo cui i 2/3 delle pizze che mangiamo in Italia sono realizzate con ingredienti provenienti da altri Paesi. Non è una novità.
Da sempre l'Italia dipende dalle importazioni agricole, perché la produzione nazionale basta a soddisfare solo il 72% delle esigenze dell'industria alimentare, come afferma Federalimentare. Un esempio emblematico è quello del latte: le imprese italiane acquistano tutti i 10,7 miliardi di litri di latte prodotti in Italia, che coprono però solo l’87% del quantitativo necessario per produrre i latticini,i formaggi, gli yogurt e il burro che vengono realizzati in Italia (fonte Assolatte).
Più che un paese di agricoltori o allevatori, l'Italia è un Paese di trasformatori. Basti pensare al caffè: non ne coltiviamo ma lo importiamo, lo lavoriamo e lo vendiamo in tutto il mondo. Un altro caso interessante è quello delle conserve "rosse". Nella produzione di pomodoro da industria siamo il numero 1 in Europa e il numero 3 nel mondo, dietro gli Stati Uniti e la Cina. Pelati, polpe e passate italiane sono vendute in tutto il globo. Ma anche l’import ha da sempre un suo peso: per decenni in Italia sono arrivati dalla Cina grossi quantitativi di concentrato di pomodoro, che però non trovavamo al supermercato, perché veniva riconfezionato ed esportato in paesi dove c'era richiesta di cibo a basso costo, come l'Africa. Trattandosi di un business dai prezzi bassi e dai margini ridotti, ora siamo stati soppiantati dai cinesi, che vendono direttamente a questi Paesi il loro concentrato di pomodoro.
Forse è arrivato il momento di abituarci all'idea che il mercato del food è globale, che le materie prime e gli alimenti viaggiano per il mondo e che lo stile italiano del cibo non sta solo nelle materie prime ma soprattutto nella capacità di lavorarle e trasformarle. E forse è dobbiamo cominciare a considerare la pizza un piatto "etnico", frutto di un mondo sempre più globale. Anche perché, oltre agli ingredienti, sempre più spesso anche i pizzaioli non hanno il passaporto italiano.
Manuela Soressi
30 maggio 2014
© Dan Bannister/Corbis