Croccante, dolce, di colore bianco panna e morbidissimo, è l'unico cardo che si può mangiare crudo. Non a caso è compagno inseparabile della saporita bagna caoda, la salsa tradizionale piemontese a base di acciughe, olio e aglio: riuniti intorno al fujot, il tegame di terracotta in cui ribolle il prelibato intingolo, i commensali vi intingono le verdure di stagione (peperoni, indivia bianca, cavolo, topinambur), innaffiate di Barbera o Grignolino. Una sorta di pinzimonio di gruppo per palati robusti, di cui il cardo gobbo è protagonista fin dal Settecento, come testimoniato dal primo manuale sulle cucine regionali italiane "Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi" (Torino, 1776). Un matrimonio suggellato dalla Confraternita della bagna caoda e del cardo gobbo, con sede a Nizza Monferrato, che ogni anno festeggia il celebre piatto con il suo degno accompagnamento.
È infatti nei terreni sabbiosi ai lati del torrente Belbo, che attraversa i comuni di Nizza, Incisa Scapaccino e Castelnuovo Belbo, che cresce il cardo gobbo, in quella provincia di Asti dove mangiare e bere è un piacere e quasi un’arte cui dedicarsi. "Gobbo" per la sua forma ricurva, frutto della particolare tecnica di coltivazione. A settembre, quando le piante sono già alte, vengono piegate e parzialmente ricoperte di terra: è l’assenza di luce, infatti, che assicura colore chiaro e fibre tenerissime. Dopo sei settimane circa dall’inizio dell’imbianchimento, i cardi vengono dissotterrati e ripuliti dalle foglie esterne con la purinetta (una roncola lunga e sottile). A questo punto è sufficiente sciacquarli, immergerli in acqua acidulata con il succo di limone in modo che non diventino scuri, e sono pronti per la tavola, incredibilmente teneri e gustosi.
Varietà pregiata perfetta in cucina
Oggi il cardo gobbo è inserito nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani della Regione Piemonte e annoverato tra i Presìdi di Slow Food: il disciplinare di tutela prevede che venga utilizzata solo la varietà Spadone, la più pregiata, che la coltivazione sia esclusivamente manuale e che non vengano impiegati fertilizzanti, erbicidi o antiparassitari chimici.
Il Presidio difende anche la figura del "cardarolo", personaggio mitico, celebrato tra i protagonisti della storia della Val Belbo. In cucina i cardi gobbi, dal sapore che ricorda quello del carciofo, si possono preparare in molti modi. L’abbinamento con l’acciuga si ritrova nei cosiddetti "cardi di re Carlo Alberto", passati in padella con burro, acciuga e spezie miste e serviti con parmigiano grattugiato; ottimi anche in umido, gratinati con la besciamella, al forno con il formaggio, fritti o ripieni a piacere. Sono un ingrediente perfetto per zuppe, risotti oppure flan e torte salate. Da provare la parmigiana e l’accostamento con la fonduta di formaggio o le uova strapazzate, impreziositi da una grattata di tartufo. Una sfiziosità? La crema di cardi in cui intingere le gallette di grano saraceno.
a cura di Marina Cella, testi di Anna Maria Covelli, foto di Maurizio Lodi, ricetta di Livia Sala