Cibi ultraprocessati: impossibile non averne sentito parlare. Per il loro effetto pro-infiammazione sono considerati il nuovo nemico numero uno della salute e non passa giorno che qualche nutrizionista non inviti ad abolirli dalla propria alimentazione. Ma cosa sono esattamente? E perché sono considerati tanto dannosi? Vediamo di conoscerli da vicino e capirne di più.
Sono passati 10 anni da quando sulla rivista scientifica “World Nutrition Journal” venne pubblicato uno studio in cui un ricercatore brasiliano proponeva una nuova classificazione degli alimenti in base al loro grado di formulazione industriale, ossia considerando quali e quanti processi fisici, biologici e chimici subiscono prima di arrivare sulle nostre tavole. Secondo quest’approccio, chiamato Nova, gli alimenti sono suddivisi in quattro gruppi: l’ultimo dei quali è quello degli ultraprocessati, i più lavorati e anche quelli con la lista più lunga di ingredienti e di additivi. Da allora i cibi ultraprocessati hanno attirato l’attenzione di molti ricercatori e sono stati oggetto di studi che ne hanno confermato la correlazione tra il loro consumo e gli effetti dannosi sulla salute, come l’aumento del rischio di ipertensione, malattie cardiovascolari e tumore al colon-retto. Ma, in parallelo, altri esperti hanno evidenziato i limiti della classificazione Nova e hanno gettato acqua sul fuoco. Ma allora, a che punto siamo? Dobbiamo temere o no gli alimenti ultraprocessati?
La scienza nutrizionale tradizionale classifica gli alimenti in base alla loro composizione nutrizionale. Invece l’approccio Nova lo fa considerando come vengono realizzati, ossia analizzando la quantità e il grado di lavorazione a cui sono sottoposti. La classificazione parte quindi dai più semplici (gli alimenti non processati o minimamente processati, come frutta, uova o latte), per passare prima agli ingredienti culinari lavorati (Come sale e zucchero, olio e farine) e poi agli alimenti processati (ossia cibi semplici a cui è stato aggiunto un ingrediente culinario lavorato, come pane, formaggi, tonno sott’olio, salmone affumicato o legumi in scatola). Infine, il quarto e ultimo gruppo è quello degli alimenti ultraprocessati, composti da almeno cinque ingredienti non presenti nella cucina di casa e ottenuti con un procedimento produttivo più articolato e “invasivo”. E, anche per questo, sono addizionati con sostanze non comunemente usate in cucina ma necessarie per migliorare la consistenza, il sapore o l’aspetto di questi prodotti. Si tratta di additivi come coloranti, aromi, emulsionanti, addensanti, esaltatori di sapidità, dolcificanti e conservanti. Risultato? Una bassa qualità nutrizionale, visto che i prodotti ultraprocessati sono carenti di vitamine, minerali e fibre e ricchi di calorie, sale e additivi che possono causare uno squilibrio del microbiota, provocando un effetto infiammatorio che innesca altre malattie, come quelle cardiovascolari.
Per definizione i cibi ultraprocessati sono quelli composti da almeno cinque ingredienti “sintetici” e con l’aggiunta di additivi. Identificarli potrebbe sembrare facile ma non è sempre così. Rientrano sicuramente tra gli ultraprocessati le bibite (anche quelle a zero calorie), gli snack dolci o salati, le barrette proteiche, i cereali per la colazione, i piatti pronti, le crocchette di pollo, le preparazioni plant based, molti biscotti, merendine e salumi. Ma anche liquori, distillati ed energy drink. Ma per altri prodotti occorre leggere le etichette per capire se sono ultraprocessati o no. Ad esempio, lo sono gli yogurt alla frutta che contengono dolcificanti e additivi, il pane in cassetta o i burger vegetali che contiene emulsionanti o stabilizzanti chimici, il succo d’arancia a cui sono stati aggiunti aromi o dolcificanti, il latte o le bevande vegetali insaporite al cioccolato o alla fragola, la pizza pronta con additivi e simil-mozzarelle a pasta filata. Non male, vero? “Spannometricamente” gli ultraprocessati forniscono oltre il 50% delle calorie della dieta degli statunitensi. Che fare, dunque? Abolirli? “Il nostro studio sottolinea che non è necessario evitare completamente gli alimenti ultraprocessati ma piuttosto che bisogna limitarne il consumo dando la preferenza agli alimenti freschi o minimamente lavorati” ha spiegato Heinz Friesling, co-curatore di una specifica ricerca condotta dall’AIrc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro
Nel mondo scientifico è diviso tra chi accetta in toto la classificazione Nova e chi ne mette in rilievo i limiti. La prima critica riguarda i criteri alla base di quest’approccio, perché non prende in considerazione né l’impatto né l’intensità dei processi di lavorazione a cui sono sottoposti gli alimenti ma solo il ricorso a ingredienti elaborati e ad additivi. Tanto che qualcuno propone di chiamare questi prodotti non ultraprocessati ma ultraddizionati. Inoltre “la classificazione Nova si basa sull’assunto che gli effetti del consumo di un alimento sono dovuti esclusivamente al modo in cui è processato - ha dichiarato Marina Carcea, dirigente tecnologo del Centro di ricerca alimenti e nutrizione del Crea – Quest’assunto può essere valido in alcuni casi, ma non in tutti perché tiene in scarsa considerazione sia la qualità che la quantità di nutrienti presenti nei cibi, così come non attribuisce importanza alla porzione, cioè alla quantità effettivamente consumata”. In altre parole, non è importante solo ciò che c’è nel cibo ma anche quanto e come si mangia. E, quindi, a entrare in gioco e a influire sul benessere non sono solo le pratiche adottate da chi produce alimenti ma anche le abitudini di chi li consuma. Una considerazione che ci porta al secondo tipo di critiche mosse alla classificazione Nova: il rischio di demonizzare tout court tutti i processi con cui vengono trattati gli alimenti, compresi quelli che migliorano gli alimenti (come la fermentazione microbica del latte o la lievitazione degli sfarinati). “L’industria alimentare si è sviluppata per migliorare la qualità, la digeribilità, la conservabilità, la sicurezza d’uso del cibo a vantaggio del consumatore a cui mette a disposizione un’ampia gamma di prodotti, altrimenti non sicuri da consumare e facilmente deperibili” ha sottolineato Carcea.
Manuela Soressi,
novembre 2024