La tradizione spumantistica italiana, quando si parla di Metodo Classico, ha una data e un nome di riferimento: l’anno è il 1865, il protagonista Carlo Gancia. Circa una ventina d’anni prima Carlo, appassionato di Champagne, si era trasferito a Reims per apprendere i segreti della Méthode Champenoise, che nel 1690 il celeberrimo Dom Pérignon aveva codificato lavorando come cellario presso Hautvillier. Rientrato a Canelli da quel viaggio illuminante, iniziarono le sue sperimentazioni sul Pinot Nero, che diedero vita a quello che Carlo chiamò, non senza una punta d’orgoglio, “spumante italiano”. Sulla sua scia, altri produttori intrapresero la via della spumantizzazione portando, nel 2002, all’istituzione della denominazione Alta Langa, che si fregia del titolo di primo spumante Metodo Classico d’Italia. Da disciplinare, le uve consentite sono Pinot Nero e/o Chardonnay almeno per il 90% ed è richiesta una sosta minima sui lieviti di 30 mesi, che salgono a 36 per la menzione Riserva.
Spostandoci verso la Lombardia, ma nel medesimo spazio temporale, è un altro territorio a concorrere tra i primati degli spumanti italiani: l’Oltrepò Pavese. In questo contribuì lo stesso Carlo Gancia, che favorì la diffusione del Pinot Nero in quello che oggi rappresenta il terzo distretto mondiale per la coltivazione di questo vitigno. Una terra da sempre vocata per la viticoltura, come già testimoniato dallo storico e geografo greco Strabone, e divenuta nel tempo un’importante arteria commerciale grazie al passaggio della Via del Sale. La storia dello spumante dell’Oltrepò Pavese è legata a due personaggi in particolare: il Conte Giorgi di Vistarino e Domenico Mazza di Codevilla. Se al Conte va il merito di aver partecipato alla diffusione del Pinot Nero, l’ingegner Mazza di Codevilla diede un fondamentale contributo: fu lui a studiare una bottiglia speciale per questo vino, capace di reggere la pressione esercitata dallo spumante sulle sue pareti. Non dobbiamo dimenticare, infatti, come la forma e soprattutto lo spessore del vetro della bottiglia per le tanto amate bollicine debbano essere differenti rispetto a quelle impiegate per il vino fermo. Gli spumanti d’Oltrepò incontrarono ben presto il favore della critica mondiale, ricevendo anche premi alle esposizioni internazionali di Londra e Parigi; nel 1970, circa un secolo dopo la sua nascita, viene istituita la tipologia all’interno del disciplinare dei vini dell’Oltrepò. Bisognerà attendere però il 2007 per la DOCG dedicata esclusivamente al Metodo Classico, che include anche la versione rosé, e la possibilità di menzionare il vitigno Pinot nero in etichetta a fronte di una percentuale minima dell’85%. La sosta sui lieviti prevista dal disciplinare richiede un minimo di 15 mesi per tutte le versioni, a eccezione del millesimato che ne necessita 24.
Tra le alture montane di Trento, ha invece trovato spazio il sogno di Giulio Ferrari. È stato suo il merito di essere fra i primi a introdurre in Italia la coltivazione dello Chardonnay, avendo intuito come i suoli e il microclima di quel territorio non fossero poi così dissimili da quelli della regione della Champagne. In circa cinquant’anni, Giulio riuscì a mettere in piedi un’azienda di grande successo, tuttavia, non avendo eredi, quell’importante patrimonio rischiava di venire disperso: decise così che era giunto il momento di trovare un successore, che fosse appassionato tanto quanto lui e dedito al mondo del vino. Bruno Lunelli era proprietario di un’enoteca a Trento, e regolarmente ordinava un po’ di quello “Champagne italiano” che Giulio produceva; non poteva immaginare quanto la sua vita, e quella della sua famiglia, sarebbe cambiata proprio grazie alla stima che il fondatore di Ferrari aveva sempre avuto nei suoi confronti. Nel 1952 la famiglia Lunelli diventa quindi depositaria delle sorti dell’impresa spumantistica ‘Ferrari’ alla quale si sono aggiunte Villa Margon e altre proprietà in Umbria e Toscana, oggi un vero e proprio polo della produzione enoica di qualità in Italia. In merito al disciplinare, il Trento Doc, la cui denominazione è stata riconosciuta nel ’93, ammette soltanto quattro vitigni: Chardonnay, Pinot Nero, Pinot Bianco e Pinot Meunier. La sosta sulle fecce varia da 24 mesi a 36 mesi a seconda delle tipologie.
Un po’ in ritardo rispetto agli altri, sebbene la tradizione spumantistica nella zona sembri risalire almeno al XVI secolo, si è fatta avanti anche la Franciacorta. L’introduzione di un vero e proprio Metodo Classico è da attribuirsi a Franco Ziliani che negli anni Sessanta, chiamato a conferire da Guido Berlucchi, propose di sperimentare questa tipologia “alla francese” per migliorare i vini dell’azienda. Dal 1995, Franciacorta è la prima DOCG italiana esclusivamente dedicata agli spumanti. La base ampelografica non varia molto dalle precedenti, ritrovando Pinot Nero e Chardonnay soli o congiuntamente al Pinot Bianco. Negli ultimi anni ha poi fatto capolino un’altra varietà autoctona, sulla quale si stanno svolgendo diversi studi e sperimentazioni, per poter bilanciare i livelli di acidità e fronteggiare il cambiamento climatico: l’Erbamat. Un vitigno molto ricco di acido malico, utile a conservare la freschezza necessaria negli spumanti, è ammesso per un massimo del 10%, sebbene diversi produttori stiano sperimentando versioni con percentuali maggiori fuori dal disciplinare.
Esiste poi un altro importante prodotto della categoria ‘spumanti’, estremamente rilevante in termini di esportazione e di massa critica: il Prosecco. Con oltre 600milioni di bottiglie prodotte l’anno, comprende diverse denominazioni: Prosecco DOC, Asolo Prosecco Docg e Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG comprensivo delle menzioni ‘Rive’ e ‘Superiore di Cartizze’. Quest’ultima denominazione, rispetto alla più estesa superficie del Prosecco Doc che comprende tutto il Friuli-Venezia Giulia e buona parte del Veneto, è riferita ai vini le cui uve provengono da una singola collina, la collina di Cartizze appunto: poco più di 100 ettari in cui si ottiene una materia prima di altissima qualità. Il metodo impiegato per la produzione di Prosecco, diversamente dai precedenti, è lo Charmat-Martinotti, che prevede la rifermentazione in autoclave, con l’obiettivo di ridurre i tempi di presa di spuma e conservare gli aromi primari dell’uva ottenendo degli spumanti dai profili freschi, fruttati e agrumati.
Letizia Porcini,
ottobre 2024
Letizia Porcini è Esperta Assaggiatrice ONAV, Wine Educator e redattrice per guide e riviste di settore
Letizia Porcini è Esperta Assaggiatrice ONAV, Wine Educator e redattrice per guide e riviste di settore