Paglierino tenue, intenso o dorato, foriero di calici luminosi che ricordano il colore del sole: al pari del rosso, il vino bianco fa parte dei prodotti tradizionali che l’uomo apprezza e consuma da tempo immemore. Basti pensare, infatti, che il vino più antico ritrovato ancora allo stato liquido è proprio un vino bianco; una recente scoperta fatta in Spagna ha riportato alla luce una tomba romana all’interno della quale è stata rinvenuta un’urna in piombo sigillata, contenente dei resti umani immersi in un liquido. Il team di scienziati impegnato in questo singolare ritrovamento fatto a Carmona, in Andalusia, è riuscito attraverso molteplici analisi a stabilire la natura del fluido che, fortunatamente, non era evaporato: sebbene alla vista si presentasse ormai bruno, l’assenza di composti coloranti ha confermato che si trattava effettivamente di vino bianco risalente al I secolo d.C.
Ripercorrendo la storia dell’uomo, il vino bianco ha, in effetti, fatto ben presto la sua comparsa. Gli antichi egizi, ad esempio, apprezzavano molto questa bevanda, che chiamavano irep. Vinificato in rosso, ma altrettanto in bianco, e destinato alle classi più alte della società (il popolo consumavano prevalentemente birra), il vino veniva prodotto anche nelle versioni più abboccate, come lo shedeh o il Mareotico. Quest’ultimo, proveniente dalla zona del lago salmastro Mareotide (a cui deve il nome), era un bianco dolce estremamente pregiato che la stessa Cleopatra amava molto, come si apprende dai testi di Orazio (Odi, I, 37). Anche greci e romani indugiavano con piacere durante i loro banchetti su calici di vino bianco, come la Retsina greca, addizionata con la resina, mentre i romani, ben attenti alla provenienza delle uve per categorizzare il prodotto, lo suddividevano anche in base al colore: Candidum, per i più giovani, Aureum, per i bianchi più pregiati.
Giungendo ai giorni nostri, i dati ISTAT confermano come in Italia il vino rosso abbia ormai ceduto il passo al bianco, che rappresenta il 60% della produzione, con 25.5 milioni di ettolitri a fronte dei 17 di vino rosso. Tra vitigni autoctoni come Verdicchio, Greco, Cortese, Vermentino o Glera, e internazionali come Chardonnay, Viognier o Pinot Bianco il nostro Paese propone sul mercato un’ampia gamma di bianchi fermi che stanno conquistando un pubblico sempre più vasto.
Sebbene abbia subito una pesante riduzione a seguito del flagello della fillossera, che nella seconda metà del XIX secolo mise in ginocchio la viticoltura europea, il patrimonio di vitigni autoctoni d’Italia presenta ancora oggi una grande varietà e fra essi non mancano le cultivar a bacca bianca. Se fino agli anni ’90 la tendenza era rivolta alla quantità, con la preferenza per vitigni più generosi la cui produttività veniva quasi esasperata con rese molto elevate, negli ultimi trent’anni la propensione verso la qualità ha fatto riscoprire anche vitigni da tempo abbandonati. È il caso dei tanti piccoli autoctoni come Coda di volpe, Picolit e Verdeca che, come altre varietà minoritarie, hanno rischiato più volte di estinguersi, generalmente a causa della scarsa vigoria o predisposizione alle malattie. Oggi, grazie agli studi e all’attenzione di produttori illuminati, questi vitigni stanno vivendo una vera e propria riscoperta. Accanto a questa seconda giovinezza degli autoctoni minori, esistono altre varietà che hanno sempre riscosso tanto il favore del pubblico quanto quello dei loro produttori. È il caso del Bombino Bianco, o pagadebit, che in virtù della sua generosità ha mantenuto il proprio posto in vigna tanto in Puglia (dove nel foggiano viene impiegato per la produzione di ottimi Metodo Classico) quanto nel Lazio dove partecipa al blend del Frascati, tra le prime 4 DOC riconosciute in Italia nel 1966, e Frascati Superiore Docg.
Spostandoci sul versante Adriatico, nelle Marche, troviamo il Verdicchio. Dagli anni ’60 in poi, grazie all’invenzione della bottiglia dalla sagoma ad anfora del Titulus di Fazi Battaglia, questa varietà ha iniziato la sua conquista dei mercati di tutto il mondo. Un vitigno dalla grande capacità espressiva, versatile nella vinificazione, può adattarsi dallo spumante sino al passito, accompagnando egregiamente tutto il pasto.
Altro vitigno di spessore, solitamente definito un rosso travestito da bianco, è il Greco, che ha trovato in Irpinia la sua patria d’elezione. Preferibilmente vinificato senza l’impiego del legno, ricorrendo persino all’iper-riduzione, questo autoctono campano regala sempre vini dotati di buona struttura e capacità evolutive di tutto rispetto.
Salendo verso nord incontriamo l’Arneis piemontese, un vitigno che, sebbene cresca in una regione dal forte spirito rossista, con le sue differenti declinazioni del Nebbiolo, ha ritagliato per sé una buona fetta di mercato. Concorre per un minimo del 95% alla produzione di Roero Arneis, ed è sempre in Piemonte che si trova la Nascetta (o nas’cetta), da includere nella compagine degli autoctoni recuperati.
Volgendo lo sguardo verso occidente, in Friuli-Venezia Giulia, è la Vitovska a raccontarci dei profondi vini del Carso: la combinazione di microclima, terreno e vinificazioni con macerazione, dà vita a vini incisivi, sapidi e complessi.
Pressoché sinonimo di Gallura, ma ben presente anche in Liguria e Toscana, il Vermentino, di origine greca o spagnola, è senz’altro una certezza nell’olimpo dei vini bianchi italiani. Sulle coste galluresi ha trovato il suo habitat prediletto e, sebbene sia l’abbinamento ideale per i piatti della cucina marinara, la sua versatilità consente di ottenere non soltanto prodotti profumati, freschi e di pronta beva ma anche versioni dotate di maggior complessità, come vendemmie tardive o passiti, da abbinare a ricette più complesse o ai dolci tradizionali.
Se scendessimo infine in Sicilia, troveremmo l’aromaticità delle Malvasie e del Moscato d’Alessandria, o Zibibbo, sia nelle sue versioni dolci che secche, ma anche i profumi e la sapidità del Grillo, mentre, al di là dello stretto, in Calabria, nel paese di Bianco, si produce da uve Greco bianco un dolce nettare, che tratteggia quei gusti che gli antichi apprezzavano particolarmente e che dimostrano di essere, dopo migliaia di anni, assolutamente senza tempo.
Letizia Porcini,
ottobre 2024
Letizia Porcini è Esperta Assaggiatrice ONAV, Wine Educator e redattrice per guide e riviste di settore
Letizia Porcini è Esperta Assaggiatrice ONAV, Wine Educator e redattrice per guide e riviste di settore