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Omakase: cos’è e come funzione il menu giapponese più esclusivo

News ed EventiPiaceriOmakase: cos’è e come funzione il menu giapponese più esclusivo

A Milano c’è un “secret restaurant” che propone, solo per pochi commensali, un menu raffinatissimo. È Iyo Omakase dove il maestro sushi Masashi Suzuki ci ha guidati tra i sapori più autentici del Sol Levante

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Iyo è l’insegna che, a Milano, ha cambiato il modo di concepire il ristorante giapponese tanto da guadagnarsi, nel 2015, la prima stella Michelin. Cui nel 2021 si è aggiunta quella di Iyo Aalto, il secondo locale nel gruppo che... ne cela un terzo! All’interno della location di Porta Nuova, in una sala intima, va infatti in scena Iyo Omakase, “secret restaurant” dedicato a una delle formule di cucina più esclusive e suggestive, l’Omakase, appunto, che abbiamo provato per voi.

Le regole dell’Omakase

sushi master iyo omakase

Il significato letterale del termine giapponese “omakase” è “mi fido di te” e indica il percorso scelto dal sushi master Masashi Suzuki (foto in alto) per tutti gli ospiti – sette – seduti al suo banco. Qui, affiancato da un assistente, officia un rito che è un viaggio tra i sapori più autentici del Giappone. Come tutti i riti, anche l’omakase ha le sue regole. La prima è che non si ordina da una carta ma – appunto – ci si affida all’esperienza e all’estro del sushi master. È lui che costruisce il menu giornalmente in base al mercato e alla stagione, criteri che guidano la selezione delle materie prime. E sempre lui che decide anche tecniche e presentazioni che possano valorizzare al meglio gli ingredienti, costruendo un’esperienza sempre diversa, tra “signature dish” e creazioni estemporanee.

Seconda regola imprescindibile: i piatti ma, soprattutto, i nigiri, ovvero i sushi che sono il cuore del percorso, si ricevono direttamente dalle mani del sushi master. Terza regola: i nigiri si mangiano rigorosamente con le mani, in un sol boccone, senza necessità di condimenti aggiuntivi, perché sono già perfetti così. Lo stile è quello dell’Edomae-zushi, tradizione che affonda le radici a Tokyo, l’antica Edo, nella prima metà dell’Ottocento e che prevede un’attenzione spasmodica alla preparazione del riso, alle marinature millimetriche e persino alla maturazione del pesce, per esaltare le caratteristiche di ogni singola qualità e pietanza.

Le tappe del percorso

Prima di arrivare al sushi propriamente detto, il menu offre una serie di portate che introducono alla magia della cucina giapponese. Si comincia con i Sakizuke, piccoli assaggi di benvenuto. Noi abbiamo sperimentato due scodelle: una con tofu di sesamo e granchio reale nel suo guscio e una con “tsukudani”, intingolo di alghe con soia e zucchero. A seguire Owan, un brodo con triglia, zeste di yuzu e taro, il tipico tubero giapponese, e i sashimi di branzino (foto in alto) e di tonno.

carbonaro alaska

Il menu pensato per l’occasione è proseguito con Shiizakana, una zuppetta con rombo, rapa bianca, cozze e brodo di cime di rapa, e Yakimono (foto in alto): carbonaro nero d’Alaska e Hisio miso (condimento fermentato di soia), accompagnato da edamame, i tipici baccelli di soia verde, il tutto cotto sulla brace. Quest’ultimo è stato infatti uno dei piatti arrivati dalla piccola griglia “sumibiyaki” che, alle spalle del banco di lavoro, sprigionava delicati ma deliziosi sentori affumicati.

Il momento dei sushi

A questo punto il palato, felicemente sollecitato dalle portate preliminari, è pronto per accogliere la complessità dei nigiri, i sushi ideati per l’omakase. Noi ne abbiamo assaggiati nove, confezionati davanti ai nostri occhi a cominciare da quello di Vongole e melanzane (foto in alto) per poi proseguire con Seppia e caviale, Mazzancolla e Temaki (un “cono” aperto d’alga) di ventresca e tonno rosso.

E ancora Dentice e yuzu, Scampo e gambero rosso di Mazara del Vallo, Capasanta, Chutoro (altra varietà di tonno, particolarmente scioglievole) e Unagi (foto in alto), secondo temaki della degustazione, scelto con anguilla laccata. Ogni boccone si è rivelato essere una ricetta in miniatura e i nigiri si distinguevano per taglio del pesce, gusto e consistenza delle salse, talvolta cotture (la capasanta appena scottata, l’anguilla), minuscole guarnizioni.

Un vero cooking show

Seguire la preparazione è stato come assistere a uno spettacolo popolato da utensili, stoviglie e ingredienti giunti sino a Milano direttamente dal Giappone: coltelli dalle lame scintillanti manovrati con maestria, grattugie per il wasabi che ci hanno spiegato essere in pelle di squalo, ciotole e piatti di terracotta di fattura squisita, prodotti mai visti come il “filetto” intero di katsuoboshi (foto in alto), il tonnetto essiccato che si affetta a velo e che, quando si dispone sulle preparazioni calde, si “anima”, quasi danzando, grazie al vapore che sale dal cibo.

dessert giapponese

Man mano che la serata andava avanti, fino alla conclusione del Dezato (il dessert: gelato di azuki con cremoso allo yuzu e soia nera, foto in alto), l’atmosfera si è fatta via via più sciolta e rilassata. Il sushi master, senza interrompere il flusso del servizio, non ha mancato di spiegare ciascun piatto, l’origine degli ingredienti, le tradizioni legate alle specialità che presentava e le tecniche usate, mentre i commensali si scambiavano pareri e commenti. E, dopo il tè matcha di rito, ha condiviso con gli ospiti una serie di liquori e distillati, dai sakè ai whisky giapponesi, provenienti delle diverse prefetture del paese di origine, raccontandone storia e produzione.

Alla fine la nostra scelta è caduta su un distillato d’orzo (foto in alto), una sorta di whisky “leggero” perfetto per pulire la bocca al termine del viaggio, ma senza essere eccessivamente forte. Detto che tutto l’omakase era stato accompagnato da una selezione di bollicine, vini e sakè in abbinamento. Insieme al maestro Suzuki, il “nostrano” cin cin è diventato “Kanpai!”: il brindisi alla maniera del Sol Levante, per chiudere in bellezza il più sorprendente dei menu jap.

Francesca Romana Mezzadri
Settembre 2024

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