L’olio extravergine di oliva è tra i prodotti alimentari che è aumentato maggiormente di prezzo: + 61% in due anni, calcola Altroconsumo. Un rincaro importante che ha riguardato tutta la filiera di questo prodotto, partendo dagli oliveti e arrivando fino alla Gdo. In questo settore, infatti, la crescita sostenuta dei costi di produzione (soprattutto quelli energetici) e la minor disponibilità di prodotto, dettata anche dai cambiamenti climatici, hanno innescato una situazione difficile che è sfociata in aumenti record delle quotazioni all’origine.
Nemmeno le belle novità del 2024 hanno migliorato la situazione: l’arrivo del nuovo raccolto (superiore alle aspettative) e il ritorno delle piogge dopo una lunga siccità hanno aumentato la quantità di olio disponibile. E ridotto i prezzi dell'11% per l'olio extravergine comunitario e del 4% per l’olio extravergine di oliva italiano, calcolano gli esperti di Areté. Ma al supermercato non è cambiato granché e i prezzi a scaffale restano elevati. La notizia è che dovremo abituarci perché finora l’olio è costato troppo poco, sostengono le imprese del settore. Anche a causa del massiccio ricorso della Gdo alle vendite sottocosto, che ha innescato una ricerca del prezzo minore in assoluto, diventato il principale criterio di scelta di un’extravergine. Al punto che, a causa degli aumenti a scaffale, un italiano su tre ne compra di meno o ha sostituito l’olio extravergine con quello di semi (fonte Istituto Piepoli).
“Per anni la nostra filiera ha lavorato ai limiti della sostenibilità economica e ha visto i suoi margini compressi verso il basso – spiega Anna Cane, presidente del gruppo olio d’oliva di Assitol (Associazione italiana dell’industria olearia) - Non possiamo continuare a trattare l’olio extravergine di oliva come una commodity ma, invece, marcarne la sua differenza e unicità”.
Se la dieta mediterranea è ritenuta la dieta più salutare e sostenibile al mondo, lo deve anche all’apporto dell’olio d’oliva, che è molto più di un semplice condimento. La ricerca scientifica ne ha attestato i benefici nutrizionali e salutistici, mostrandone la capacità di proteggere il cuore e l’intero sistema cardiocircolatorio dall’insorgere di gravi problemi come l’infarto e l’ictus. Dunque, perché risparmiare proprio su un alimento tanto importante, cercando solo il prezzo più basso o sostituendolo con altri prodotti meno salutari? Anche perché mangiare peggio per ridurre le spese di oggi significa spendere di più in futuro per riparare ai danni provocati da una scorretta alimentazione.
Benefico lo è l’olio extravergine di oliva, ma nelle giuste quantità: non oltre i tre-quattro cucchiai al giorno, tra quello che si usa per cucinare e quello utilizzato per condire a crudo. Non bisogna dimenticare infatti che l’olio di oliva resta pur sempre un grasso e che ogni cucchiaio apporta 90 calorie. Gli esperti del CREA hanno fatto due conti: considerando le quantità consigliate ogni giorno e il fabbisogno medio giornaliero di un adulto (2mila calorie) una bottiglia di olio extravergine dovrebbe durare almeno un mese. Un motivo in più per comprarlo buono. E anche per non fossilizzarli sullo stesso brand o Dop/Igp perché spaziando tra i differenti tipi di olio extravergine si finisce per assumere maggiori varietà di antiossidanti diversi.
Offerte, promozioni e vendite sottocosto sono abituali quando si tratta di olio extravergine considerato il prodotto-civetta per eccellenza, ossia quello che attrae clienti nel punto vendita. La ragione è chiara: è un articolo costoso ed è anche molto usato, quindi incide parecchio sulla spesa alimentare delle famiglie. Farne scorta quando è in offerta è una delle pratiche più diffuse per risparmiare. Ma può anche non essere così conveniente. Capita, infatti, che gli oli extravergini venduti in promozione (in particolare quelli più pregiati, come i Dop e gli Igp) siano proposti a prezzi bassi perché si tratta di prodotti vecchi, ossia di oli provenienti da raccolti precedenti e che quindi, con il passare dei mesi, hanno perso parte del loro corredo di sostanze benefiche (come i polifenoli) e del loro corredo di profumi e sapore (tanto che possono persino virare al rancido). Quindi, il consiglio è quello di non badare solo al prezzo o allo sconto ma di verificare sull’etichetta l’anno del raccolto. Un’informazione importante per valutare la freschezza dell’olio molto più di quella di imbottigliamento, se si considera che l’olio può essere tenuto in silos e confezionato anche diversi mesi dopo la raccolta delle olive. Il termine preferibile per consumare un extravergine che conserva tutte le sue qualità di partenza è di 12-18 mesi (dipende dalla cultivar) e, secondo il Consiglio Oleicolo Internazionale, non si dovrebbero mai superare i 24 mesi.
Manuela Soressi,
aprile 2024