Bella e aperta al nuovo, orgogliosa dei suoi teatri e dei centri d'arte che la rendono un po' europea, conserva fieramente la sua cucina di cui perpetua ricette e prodotti realizzati tutt'oggi con antica perizia
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Sobria ed elegante, Reggio Emilia è come un bel cappotto color cammello. Non a caso, una delle sue tante glorie è, fin dal 1951, la casa di mode Max Mara, famosa nel mondo per i suoi capispalla. E nel centro pedonale, in effetti, di cappottini eleganti se ne vedono molti, soprattutto la mattina. Perché le botteghe storiche, come quelle dove i cappelletti e i tortelli verdi si fanno ancora a mano, chiudono il pomeriggio e le signore devono affrettarsi per fare la spesa. "Per fare le cose bene ci vuole tempo e passione", mi spiega una sfoglina de La Casalinga, senza smettere di distribuire palline di ripieno. "Nei nostri cappelletti ci vuole il Parmigiano Reggiano buono. Poi c'è chi aggiunge la salsiccia o una fetta di mortadella tritata fine".
Un'altra specialità reggiana è l'erbazzone, torta salata di spinaci o bietole che qui si mangia persino a colazione, con il caffè. La ricetta classica prevede lo strutto nella pasta e la pancetta nel ripieno, ma oggi si trova anche in versione vegetariana. Alla storica Pasticceria Boni, il signor Maurizio sforna il primo erbazzone già alle 5 del mattino, insieme a deliziose torte di riso in grandi teglie di rame. Siamo a pochi passi da piazza Martiri del 7 Luglio, un luogo ad alta concentrazione di cultura dove si affacciano tre teatri (il Valli, l'Ariosto e la Cavallerizza), la Galleria Parmeggiani e il Palazzo dei Musei Civici. Ai reggiani, infatti, oltre al buon cibo, interessano l'arte e la meraviglia. I due ingredienti non mancano nel tour dietro le quinte del sontuoso Teatro Valli, nella visita al Palazzo dei Musei, con la collezione ottocentesca del naturalista Lazzaro Spallanzani, dove le bestie di fantasia si confondono fra gli animali esotici impagliati, e continua con i nuovi allestimenti di Italo Rota, che tra l'altro espongono un cappotto doppiopetto fra i tesori della città.
Per trovare il vero cuore di Reggio Emilia, però, bisogna andare in via Roma e cercare sul selciato la targa del Gromae Locus. Era questo il punto di intersezione tra cardo e decumano, gli assi della città, cioè via Roma e la Via Emilia, la strada consolare che scende da Parma e prosegue per Modena, tagliando Reggio in due. Poco distante, si può visitare la Sala del Tricolore, dove il 7 Gennaio 1797 fu sventolata per la prima volta quella che nel 1848 divenne la nostra bandiera nazionale. Questa è anche la zona dove acquistare i prodotti da portare a casa, dal Parmigiano Reggiano al Pan de Re, il pane a lievitazione naturale e marchio di Qualità Controllata, fino all'Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Dop, forse meno noto di quello di Modena ma altrettanto pregiato. Lo si degusta in purezza o su una scaglia di Parmigiano Reggiano 30 mesi. Da provare anche l'abbinamento con lo zabaione o il gelato. Consigliato in cremeria è poi l'assaggio del gusto Giovanna, con meringhe e liquori, che si fa solo qui.
Continuando la passeggiata, si visitano i Chiostri di San Pietro, epicentro del Festival di Fotografia Europea (dal 26 aprile al 9 giugno), per poi proseguire fino alla sede di Reggio Children nella Fondazione Loris Malaguzzi. Da quando nel 1991 un giornalista del Newsweek scrisse che i migliori asili del mondo erano a Reggio Emilia, in questa scuola che forma insegnanti arrivano allievi da ogni nazione e si organizzano seminari che riguardano anche il cibo. Insieme all'atmosfera intima della provincia, a Reggio Emilia si respira un'aria di Nord Europa, con musei gratuiti e tante opere d'arte moderne. A cominciare dalla stazione firmata Santiago Calatrava, per continuare con il murale di Sol Lewitt nella sala di lettura settecentesca della biblioteca o con la Collezione Maramotti di arte contemporanea nello storico ex stabilimento Max Mara. Pare quasi di essere a Berlino, se non fosse che appena più in là comincia la campagna e nelle trattorie fuoriporta fuma il carrello dei bolliti.