Questa piccola arancia dal gusto amaro, considerata il brutto anatroccolo degli agrumi, ha una storia interessante, non solo come bevanda
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Un frutto che viene da lontano Originario di Cina meridionale e Indocina - sembra che il nome derivi proprio dal termine china - il chinotto (Citrus Myrtifolia) arrivò in Europa nel XV secolo attraverso le rotte commerciali portoghesi. L’esotico chinotto si rivelò subito ingrediente utile alla realizzazione di raffinati prodotti di profumeria (i minuscoli fiori emanano un profumo intenso) prodotti a Toledo in Spagna, a Marsiglia in Francia, a Colonia in Germania e nelle nostre Venezia e Firenze. Nel Rinascimento era considerato una ricercata e profumata pianta ornamentale e secoli dopo re Luigi XV la volle nei giardini di Versailles.
I liguri scoprirono il chinotto nel 1300 e si scoprì che il clima nostrano era favorevole alla pianta: oltre al Ponente ligure, nel tratto che va da Varazze a Pietra Ligure (il Chinotto di Savona è Presidio Slow Food), oggi è coltivato in Calabria, Toscana e Sicilia. Nel 1887 nasce la Società Produttori Chinotto e se ne identificarono due varietà: il chinotto comune, che non produce semi fertili e quindi può essere riprodotto solo per innesto con l'arancia amara, e il chinotto mirtifolio, fertile, ma dalla produzione limitata, a cadenza biennale. Nel XIX secolo si affinano le tecniche di canditura e quelle di trasformazione di questo agrume amaro sia nel campo della pasticceria sia in quello di distillati e affini; durante la Belle Époque si usava gustare il frutto immaturo candito come aperitivoaccompagnato da bevande amare come l'assenzio, oppure candito a pezzetti, immerso nel Maraschino, su eleganti cucchiai di ceramica.
Una 'cola' tutta italiana! Per quanto riguarda il consumo fresco, l'estrema amarezza del frutto scoraggiava i più, finché i marinai che viaggiavano mesi sulle rotte oceaniche di allora per evitare lo scorbuto a causa di carenza di vitamina C scoprirono che, mescolando il succo del chinotto con un po' di zucchero, lo si rendeva gradevole e bevibile. All’inizio degli anni Trenta, il chinotto viene “riscoperto” e la coltura riprende. Nel Secondo Dopoguerra, quasi per un moto identitario nazionale in risposta alla sempre più diffusa cola a stelle e strisce, nasce la bevanda gassata che porta il nome del frutto, il chinotto.
Simile nell’aspetto alla cola, sebbene sia meno dolce, la bevanda prende il nome dal frutto di cui contiene un estratto (la legge, però, non stabilisce in che percentuale e ammette aromi naturali e coloranti): altri ingredienti sono acqua, zucchero e, essendo una bibita gassata, anidride carbonica, che ne migliora il sapore e ne accentua il potere dissetante. Come? Merito delle bollicine, che regalano un'immediata sensazione di freschezza e un lieve effetto “anestetizzante” sulle papille gustative che spegne, anche se solo temporaneamente, la sete.
La produzione industriale del chinotto come soda risale agli anni Cinquanta e nei ruggenti anni Sessanta entra nel mondo dei cocktail come alternativa italiana all’americana rivale: nascono il cubotto (chinotto e rum) e l’Italia Libre (chinotto, rum, limone e angostura). Il chinotto nel XXI secolo si scopre ingrediente di piatti salati e dolci ed entra nei menu: troviamo la chinotta, versione savonese della Sachertorte farcita con confettura di chinotto; mostarde innovative che mixano zucca e melone, arance e chinotto; pappardelle di castagne con ragù al chinotto, risotto Carnaroli con cotechino e chinotto, il sorbetto con confettura di bergamotto e chinotto.