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Ristoranti plant based: la nuova offerta è vegetale

News ed EventiPiaceriRistoranti plant based: la nuova offerta è vegetale

Sono sempre più diffusi i locali che offrono una cucina totalmente priva di ingredienti di origine animale: dallo stellato al gourmet, dal casual al fast food, conquistano la clientela veggie ma anche il pubblico degli “onnivori curiosi”

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È la nuova opzione che abbiamo quando decidiamo di uscire a cena o mangiare qualcosa fuori a pranzo: il ristorante plant based, quello che offre una proposta green a tutto tondo. La dicitura, che in italiano si traduce con “a base vegetale”, la vediamo spesso apposta anche sui prodotti più disparati al super: burger e crocchette, bevande e dessert, salse e condimenti pronti come il ragù. Il plant based esclude qualunque ingredienti di origine animale: né carne né pesce, né uova né latticini. Un mondo sempre più vasto e con sempre maggior seguito che sta conquistando la ristorazione, a ogni livello.

In principio fu Pietro Leeman
Il primo a portare in Italia l’alta cucina vegetariana è stato lo svizzero Pietro Leeman. Il suo ristorante Joia, aperto a Milano dal 1989 e stellato dal 1996 (primo in Europa e tuttora unico in Italia), è stato a lungo una mosca bianca nel panorama del fine dining e ha avuto l’indubbio merito di diffondere una filosofia di cucina green, sostenibile e stagionale. Concetti che oggi sono sulla bocca di tutti grazie anche al suo esempio.

Un nuovo concetto di cucina vegetale
Proprio con Leeman si è formata Marzia Riva, fondatrice e anima, insieme al biologo nutrizionista Ferdinando Giannone, di Arna Food Lab (a Milano). Un progetto articolato tra ristorazione, con la Taverna degli Arna, formazione, consulenza e Academy. Con un cuore pulsante: la cucina vegetale gastronomica.

“Non amo il termine vegan”, confessa Riva, “intorno al quale c’è purtroppo ancora una forte barriera culturale, con tanti pregiudizi. Per questo preferisco presentare la mia proposta come 100% vegetale. La base sono ortaggi, legumi, cereali, frutta. Niente prodotti industriali processati né semipreparati, materia prima bio, di stagione e con una lavorazione artigianale”. Del resto, prosegue, “la natura mi affascina e mi sollecita. È ricca di colori, profumi, sapori, consistenze. Parto dall’orto e lo traduco nel piatto valorizzando gli ingredienti grazie anche al lavoro a quattro mani con il nutrizionista, che mi permette di affinare le tecniche migliori, dal taglio alla cottura, per preservare gusto e proprietà”.

Innovativa la formula della Taverna, dove gli ospiti siedono a una sorta di “bancone conviviale” davanti alla cuoca, che cucina e serve loro i piatti. Il percorso di degustazione inizia da portate più fresche e leggere (come lo Scrigno di verza, foto in alto), per arrivare a quelle più corpose e proteiche a base di funghi, soia, lupini, tempeh. Il faccia a faccia con i commensali, inoltre, invita al confronto, allo scambio di idee e punti di vista: “Credo molto nella cultura del cibo, che dovrebbe essere insegnata fin da bambini e che mi piace condividere”. Questa impronta alla condivisione è alla base delle tante proposte del Lab che vanno dai corsi di cucina per amatori o professionisti ai workshop e team building esperienziali, dalle cene “tailor made”, cucite su misura del cliente, alla “private kitchen” anche a domicilio.

Green e pop
Medesimo mondo, ma tutt’altro approccio, quello di Giardì, recentissima apertura milanese (è stato inaugurato a luglio) per ora solo diurna, da colazione a merenda, passando per il pranzo (una selezione di piatti nella foto di apertura del post). L’idea è nata da Michela Rubegni e Tommaso Coppola, coppia nella vita e nel lavoro. Formazione nel marketing, per lei, e nelle cucine stellate, per lui, il concept del locale è plant based, ma senza strillarlo.

Rubegni condivide infatti il pensiero di Marzia Riva secondo cui intorno al concetto di vegan c’è ancora un alone di sospetto. “Ma sai che succede? Che la gente viene, sceglie, mangia e solo alla fine si rende conto che nel piatto non c’erano proteine animali. Soprattutto, poi torna”. Per una clientela giovane (ma non sempre!) e metropolitana l’offerta - con carta in inglese e italiano - strizza l’occhio allo street food con burger e wrap, bowl e abbinamenti healthy. Si propone come democratica, con prezzi ragionevoli all’insegna dell’inclusività, e si definisce fast casual: il cliente sceglie il menu, ordina alla cassa e i piatti vengono serviti sul vassoio da portare al tavolo. Ma, a differenza dei classici fast food, sono cucinati dallo chef e serviti espressi.

“Operatività snella e creatività in cucina: ogni settimana abbiamo uno special frutto della collaborazione di Tommaso con i ragazzi di cucina”. Tutti possono esprimersi, e il risultato sono piatti golosi e salutari. Che piacciono molto: dalle polpette di legumi all’hummus, dal sandwich con formaggio vegetale e patate in salsa romesco al cavolfiore caramellato, dal Not avocado toast con guacamole di piselli al Banana bread con le arachidi. In un format che, nelle intenzioni di Rubegni e Coppola, permette (e promette) replicabilità.

Veloce e replicabile
Tra gli antesignani di un modello di ristorazione casual e replicabile c’è Flower Burger, catena di vegan fast food con 23 punti vendita - tra diretti e in franchising - in Italia, Olanda, Gran Bretagna e Francia. La formula, lanciata nel 2015 dal milanese Matteo Toto, era e rimane innovativa soprattutto per la Factory, il centro produttivo che sforna tutti gli elementi base dei burger, dai panini supercolorati ai “patties” (le polpette) di legumi e ortaggi. La Factory funziona anche da laboratorio: qui si studiano le ricette, gli special (l’ultimo quello total pink dedicato a Barbie) e i signature (i classici, come il Jungle BBQ, nella foto in basso, con bun verde, burger di avena e fagioli, verdure e cheddar vegano). Ma anche i condimenti, le salse artigianali e gli abbinamenti che, standardizzati in fase di studio, permettono di offrire la stessa qualità e lo stesso gusto in ogni locale.

Start up per un mondo più verde
L’interesse del mercato e, di conseguenza, della ristorazione verso il mondo plant based sembra in ascesa anche grazie a nuovi “attori”: sono sempre più i consumatori che si rivolgono verso la cosiddetta dieta flexitariana che decide di limitare il consumo di alimenti di origine animale a favore di ingredienti green. Lo raccontano i professionisti con cui abbiamo parlato, che sempre più spesso vedono entrare nei loro locali quelli che potremmo definire onnivori curiosi, desiderosi di provare qualcosa di nuovo e di diverso. Lo conferma Marta Residori, marketing manager per l’Italia di Planted, brand di prodotti proteici a base vegetale: bocconcini, sfilacci, cotolette, straccetti che offrono la stessa godibilità di pepite di pollo, pulled pork, fettine panate e persino kebab. “I nostri prodotti sono pensati per chi inizia un percorso di alimentazione vegetale. I primi clienti del brand (nato 4 anni fa in Svizzera, da uno in Italia, ndr) sono stati i vegani di nuova generazione, tra i 18 e i 35 anni. Oltralpe c’è stato subito un buon riscontro da parte dei foodies e la distribuzione in ristoranti, Gdo e online ne ha migliorato conoscenza e accessibilità anche da noi”. La mission di Residori è proprio raggiungere la ristorazione a tutti i livelli. Di recente è stato coinvolto come Ambassador proprio Pietro Leeman, che ha studiato una ricetta di straccetti alla mediterranea con capperi, pomodori secchi, melanzane, olive e aïoli alle mandorle (foto in basso), mentre Antonio Guida, bistellato del Mandarin Oriental di Milano, ha deciso di inserire Planted nel menu del Garden, il bistrot dell’hotel.

La prossima sfida, come racconta Residori, è quella sulla riduzione degli impatti. Un passo importante è stato ottenere la certificazione internazionale B Corp che valuta le performance di sostenibilità sociale e ambientale. Tra le pratiche virtuose, accorciare la filiera con l’utilizzo di ingredienti che provengono dalla Svizzera o dai paesi confinanti (“Niente soia sudamericana, insomma!”, precisa Residori) e diminuire progressivamente le emissioni di CO2 e il consumo di acqua. “Perché siamo consapevoli che, oggi, non basta fare un prodotto vegano. Per essere credibili, occorre essere autocritici e cercare la via più sostenibile”. Nel nostro Paese sono 22 milioni coloro che mangiano abitualmente vegetale, 15 milioni dei quali non in modo esclusivo. Il plant based può essere la risposta alla loro domanda.

Francesca Romana Mezzadri
Ottobre 2023

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