Un’uva dalle antiche origini che secondo il parere di molti ampelografi trova i suoi natali in Grecia. È pur vero che in epoca romana il termine “greco” veniva utilizzato per identificare tutti quei vitigni non autoctoni, e provenienti da terre lontane, contrariamente alle “vernacce” dal latino vernaculum e quindi “locale, nativo”. Nel caso del Greco di Tufo, tuttavia, l’appellativo coincide con la sua probabile provenienza giacché la varietà da cui deriva potrebbe essere proprio l’Aminea gemina, vitigno che deve il nome alla popolazione degli Aminei, giunti in Campania dalla Tessaglia. Quest’antica uva condivide con il Greco la singolare caratteristica ampelografica per cui il grappolo, giungendo a maturazione, mostra un’ala tanto sviluppata da dar luogo a un grappolo “gemello”.
Ciò detto, la prima effettiva menzione del “vino Greco” risale al I secolo a.C., ed è riportata su di un affresco presente nella città di Pompei, sebbene la sua diffusione non si limitasse alle pendici del Vesuvio, interessando pressoché tutta la superficie della Campania felix. L’areale di predilezione di questo vitigno, tuttavia, è senza dubbio l’Irpinia: tra alture e suoli di grande variabilità, è questo il cuore enoico della Campania.
Qui, il clima cambia notevolmente rispetto alle altre zone della Regione, mostrandosi maggiormente continentale, data la protezione dagli influssi delle correnti marine in relazione al contesto orografico. Inverni freddi ed estati calde, dunque, con vigneti collocati ad un’altitudine compresa tra i 300 e i 650m slm lungo la valle del fiume Sabato, affluente del Calore. I suoli sono principalmente argilloso-calcarei con profili talora sabbiosi. Elemento distintivo del territorio è la presenza di zolfo, eredità dell’antica attività vulcanica che ha caratterizzato l’avellinese. Le miniere Di Marzo, attive dal 1866, non svolsero soltanto un ruolo di traino per l’economia del territorio, ma anche per la viticoltura, trasformando il piccolo borgo di Tufo in una valida realtà industriale dando impulso a tutta la filiera produttiva, agricoltura compresa, del comprensorio. La presenza della ferrovia irpina, poi, ha favorito un’ulteriore crescita del comparto vitivinicolo, mettendo in comunicazione i principali centri di produzione.
Si giunge così agli anni Settanta del secolo scorso, quando è stata riconosciuta la DOC Greco di Tufo divenuta poi DOCG nel 2003. Da disciplinare, a fronte di un minimo di 85% di uve Greco è possibile aggiungere a saldo il 15% di Coda di Volpe, altro vitigno autoctono. Ciononostante, una buona fetta di produttori preferisce imbottigliare Greco in purezza, lasciandogli un ruolo da solista nella sua espressione enologica.
In campo, le operazioni sono complesse: il suolo è tendenzialmente compatto, duro da lavorare, inoltre la zona è caratterizzata da pendenze importanti che contribuiscono a rendere faticosa la gestione del vigneto.
Il grappolo di Greco si presenta molto compatto e, per questo, sensibile all’umidità, trovandosi esposto al rischio dell’insorgenza di muffe. Il contesto pedoclimatico non aiuta troppo in questo senso poiché si caratterizza per una piovosità sostenuta, che supera anche i 1000mm annui. A ciò, si accompagna la tardiva maturazione, elemento che mette il grappolo alla mercé di piogge, o grandinate, autunnali che possono facilmente andare a rovinare il raccolto.
In cantina la varietà mostra tutto il suo vigore, non a torto viene spesso definita come un rosso travestito da bianco poiché presenta una grande ricchezza, ad esempio, di sostanze fenoliche e proteiche che in fase di vinificazione possono causare non pochi problemi. Per conservare la freschezza dei suoi aromi e proteggere il vino dall’ossidazione, molti produttori seguono la via dell’iper-riduzione, limitando il contatto con l’ossigeno, e le relative conseguenze quali imbrunimento del vino, insorgenza di sentori “cotti” come mela cotogna e toni marsalati anche al sorso. Si predilige, dunque, l’impiego dell’acciaio, anche per lunghi affinamenti sulle fecce fini ma sempre in ambiente riduttivo. Data la sua spiccata acidità, l’uva Greco mostra una buona longevità, e non manca certo di struttura.
All’assaggio, un calice di Greco di Tufo, di colore paglierino carico tendente anche al dorato in virtù dell’affinamento, è improntato sulla fragranza di pesca bianca, susina, albicocca ma anche frutta tropicale, mandorla, cedro, unitamente a note vegetali di fieno, fiori di campo, erba tagliata per virare verso note più evolute di miele, acacia e camomilla. A questo profilo aromatico, variabile in funzione della vinificazione e dell’annata, si aggiunge una caratteristica nota sulfurea che ricorda la pietra focaia. Il sorso presenta una buona struttura, tendenzialmente sapido al palato, con echi fruttati e finale ammandorlato.
Al netto dell’annata che si andrà a degustare, il vino Greco di Tufo DOCG si presta per abbinamenti di ampio respiro. Per le versioni più giovani, anche l’ora dell’aperitivo potrà essere il momento adatto per gustarne un calice, magari accompagnato da un plateau di crostacei crudi. Spostandoci sui primi piatti di pesce, dalla tradizione regionali si può optare per dei cicatielli fagioli e cozze o cavatelli ai frutti di mare (senza pomodoro); gli spaghetti alla Nerano possono trovare il proprio connubio con un calice di Greco con almeno un paio d’anni di evoluzione ed eventuale passaggio in legno, laddove le note vegetali si stemperano in favore di una frutta più matura, speziatura dolce accompagnata da una leggera balsamicità. Evadendo dai confini campani, potremmo azzardare anche con un risotto allo zafferano, selezionando un prodotto “Riserva” la cui menzione è ora anche stata approvata come modifica al disciplinare dal 2020, come dimostrazione del potenziale di longevità di questo vitigno. Anche la carne può trovare il suo matrimonio con un calice di Greco, dai ragù bianchi alla carne di coniglio, e, tra i secondi, sicuramente il pesce al forno sarà un valido alleato, come un filetto di tonno in crosta o un rombo con le patate. Da provare anche l’abbinamento con il baccalà in bianco alla napoletana.
Alessandro Brizi,
luglio 2023