Ripercorriamo la storia di questa eccellenza dell’industria conserviera italiana, dalle origini ai moderni metodi di produzione, attraverso i racconti dell’erede di Saclà, iconica azienda italiana
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Le stuzzichiamo con l’aperitivo, le mettiamo in tavola nelle insalate e nelle paste, insaporiscono contorni e secondi di terra e di mare: sono le olive, versatili, gustose in tante occasioni e sempre presenti in dispensa e in frigo - dove vanno conservate dopo l’apertura. Un’abitudine sfiziosa che è “figlia” del boom economico. Ce lo racconta Chiara Ercole, amministratore delegato (e terza generazione) di Saclà, brand iconico che ha fatto la storia italiana delle olive da tavola.
Indietro nel tempo Era il 1939 quando Secondo Ercole, con la moglie Piera Campanella, fondano ad Asti Saclà (acronimo per Società anonima commercio e lavorazione alimentare), industria conserviera che lavorava gli ortaggi e la frutta di stagione della valle del Tanaro.
“Fino agli anni Sessanta le olive non erano un prodotto di massa. Facevano parte di una tradizione regionale in Sicilia, Puglia, Lazio, Liguria”, racconta Chiara Ercole, nipote dei fondatori. “Ma con il boom economico la gente ha cominciato ad avere voglia di sfizi, cibi voluttuari, alimenti divertenti”. Fu durante un viaggio in Spagna (ancora oggi maggior produttore al mondo) che l’imprenditore piemontese “scoprì” le olive, in particolare la varietà Hojiblanca: “Una qualità che allora non era considerata da tavola”, dice Ercole. L’intuizione di suo nonno fu capire che aveva proprietà interessanti: era croccante, adatta a una raccolta meccanica e resistente durante le fasi di lavorazione. Compresa la snocciolatura, tecnica che in azienda avevano messo a punto con le ciliegie, una delle referenze di punta di allora, e che divenne il “marchio di fabbrica” dell’azienda. Senza nocciolo, piccole, gustose, ideali come snack (ma anche per guarnire i cocktail come James Bond!), le “olive col buco”, come recitava il claim riportato sulle confezioni, legarono la loro fortuna anche al celebre Carosello con l’indimenticabile jingle, canticchiato da tutti: “Olivolì, Olivolà, Olive Saclà!”.
Come si producono oggi Oggi, Saclà è ancora un’azienda a conduzione familiare che esporta in oltre 70 paesi del mondo, e non solo olive: dai sottaceti ai sottoli, passando per il pesto (sono stati loro a introdurlo in Gran Bretagna nei primi anni Novanta) e i sughi gourmet.
Il core business resta sempre il frutto (che di questo botanicamente si tratta) dell’olivo. “Le olive vengono lavorate dai nostri fornitori direttamente sul luogo di raccolta, dove vengono deamarizzate e fermentate”, continua Ercole. Arrivate in azienda - nello storico stabilimento di Asti o nel nuovo impianto di Castello di Annone - sono immerse, secondo le qualità, in una nuova salamoia o in olio extravergine, confezionate in vasetti, lattine e buste, pastorizzate o sterilizzate (nel caso siano senza liquido). Le tecniche di lavorazione sono diverse e, spesso, legate alla tradizione del luogo di produzione. Le spagnole seguono il cosiddetto metodo sivigliano, in assoluto il più praticato al mondo. Le marocchine sono chiuse in botti ricolme di sale che vengono fatte ruotare a giorni alterni dando le cosiddette “toste”, molto saporite. Le greche Kalamata hanno una goccia di aceto nella salamoia, mentre altre varietà elleniche sono snocciolate e conservate in olio, come anche le liguri taggiasche. E così via.
Un futuro sostenibile La storia va avanti verso un futuro che si promette sempre più sostenibile: “Gli sprechi alimentari generano impatti ambientali, economici e sociali che vogliamo combattere sensibilizzando le persone ad adottare sempre più comportamenti virtuosi”, afferma Ercole.
In quest’ottica l’azienda ha aderito e promosso diversi progetti come #ThanksPlanet, in collaborazione con LifeGate, per la salvaguardia della foresta Amazzonica, e #IMercoledìAntispreco insieme a Banco Alimentare, per donare 150.000 pasti a persone in difficoltà. Ma anche con iniziative concrete, come l’utilizzo di veicoli elettrici per gli spostamenti tra le due sedi. In particolare, il neonato stabilimento di Castello di Annone è nato da una riqualificazione di un’ex area industriale dismessa, ha adottato una veste totalmente green e ha portato a un efficientamento della rete idrica di cui beneficiano l’intero territorio e le comunità locali. Del resto, le industrie conserviere nascevano con un intento di sostenibilità ante litteram, quello di recuperare le eccedenze agricole. Oggi, il cerchio si chiude.
Francesca Romana Mezzadri Foto d’epoca archivio Saclà Giugno 2023