Siamo il Paese dell'Espresso e della moka, e per noi italiani il caffè è un autentico piacere per tutti i sensi. A partire dall’olfatto: l’aspetto più apprezzato, infatti, è il profumo del caffè appena fatto (91%) e quella della miscela o dei chicchi appena tostati (88%), come ha rivelato un’indagine condotta da AstraRicerche per conto del Consorzio Promozione Caffè. Dopo l’olfatto entra in gioco il gusto, inteso come sapore (89%) e calore (84%), sensazione quest’ultima apprezzata anche a livello tattile (81%). Vogliamo, poi, parlare dell’udito? Il borbottio della moka è un comfort pleasure per 84 italiani su 100 contro i 68 che preferiscono il suono della macchina del bar (68%). Nel percorso multisensoriale del caffè da ultima entra in gioco la vista, importante soprattutto quando si tratta di giudicare l’aspetto finale del caffè e dei suoi “fratelli”, come cappuccino o caffè macchiato (83%). Ma, piacere a parte, quanto sappiamo degli aspetti che rendono buono un caffè?
Quando arrivano nelle nostre torrefazioni per essere tostati (processo in cui l'Italia è ai primi posti nel mondo per qualità e quantità) i chicchi hanno già fatto un lungo viaggio dai Paesi esotici in cui sono coltivati. Tra le circa 60 specie esistenti, vale sicuramente la pena soffermarsi sulle due più note: Arabica e Robusta. La prima, considerata più pregiata, è anche più costosa perché la sua coltivazione deve avvenire in zone montane e piovose e richiede cure particolari. La Robusta può essere invece impiantata ad altitudini più basse e ha una coltivazione meno complessa. Il caffè che deriva dall'Arabica ha in genere sapore leggero, tendente all'acido, ma molto aromatico. Quello della Robusta ha più corpo e gusto più amaro. Inoltre il contenuto di caffeina è assai diverso: quello dell'Arabica è pari all'1,1-1,7% del peso, mentre nella Robusta sale al 2-4%: in pratica il doppio. Ciò nonostante la Robusta è più utilizzata nella produzione dei decaffeinati. Usare la moka non è così banale: seguite le nostre istruzioni e assicuratevi che, mentre lo versate, il caffè spanda un ottimo profumo.
Non è detto che un caffè 100% Arabica sia il migliore possibile, anzi: molto dipende dalla qualità dei chicchi e dal tipo di tostatura. Inoltre la maggior parte dei caffè in commercio basa il suo successo su un blend composto da diversi tipi di Arabica e di Robusta con provenienze e tostature differenti che, proprio mescolandosi, riescono a esaltarsi gli uni con gli altri e conquistare il gusto dei consumatori, nonché a mantenere le caratteristiche del prodotto finale più costanti, fidelizzando il cliente. In questo l'Italia fa scuola ed è merito dei nostri complessi blend se i caffè italiani sono ricercati in tutto il mondo.
Dopo la raccolta delle bacche, i chicchi vengono estratti e fatti essiccare. Si ottiene così il "caffè verde", commercializzato in questa forma in quanto ideale per una lunga conservazione. Verrà poi tostato nei paesi importatori. Durante la torrefazione si producono sostanze essenziali per il gusto, l'aroma e il colore della bevanda (i chicchi diventano scuri perché gli zuccheri si caramellizzano). È un'operazione che si può fare con diverse combinazioni di tempo e temperatura, a seconda del caffè di partenza e del tipo di bevanda che si andrà poi a preparare. In generale l'Arabica richiede una tostatura leggera, che preservi il delicato aroma. La Robusta necessita di bassa temperatura, dà un caffè chiaro, poco amaro e leggermente acido, adatto per il caffè "all'americana". Quella a temperatura molto alta (più di 190°), porta alla creazione di una bevanda più scura e amara, ma meno acida, "all'italiana". “Qui a Napoli lo chiamiamo arruscato perché il caffè viene tostato con sapienza, in modo da esaltarne al massimo le caratteristiche sensoriali fino al punto di maggior sensazione ma senza farlo scadere nel bruciato. È così che si ottiene il nostro caffè napoletano, caratterizzato da una maggiore corposità, un profumo più intenso e una crema più scura” spiega Mario Rubino, presidente di Kimbo, storico produttore di caffè napoletano oggi presente in tutto il mondo.
Non serve essere un professionista, basta essere un coffee lover per imparare a riconoscere la qualità di un espresso in tazza e vivere una “coffee experience” a tutto tondo. Il test comincia dalla vista: la crema deve essere di una tonalità nocciola tendente al testa di moro, con riflessi rossicci e striature chiare. Più il colore del caffè si allontana da questa scala cromatica, più ci saranno dei difetti nella preparazione. Una crema nera, per esempio, sarà spia di una macinatura troppo fine e di una pressatura troppo elevata, mentre una variazione chiara indicherà una macinatura grossolana e con pressatura bassa. Non meno importante è la tessitura, determinata dalla densità delle fibre per millimetro. Un espresso a regola d’arte sarà caratterizzato da una crema a maglie strette con occhiatura (cioè la presenza di bolle) fine o assente, dallo spessore di 2-4 millimetri e capace di permanere in superficie anche oltre i 4 minuti, senza spezzarsi o aprirsi nella parte centrale. Al momento in cui lo si assaggia devono prevalere l’amarezza e l’acidità, con sfumature diverse a seconda della miscela di caffè. Anche l’olfatto gioca un ruolo fondamentale nell’esperienza sensoriale della degustazione del caffè. E qui ci vuole metodo; occorre assaggiare il caffè a naso tappato, per impedire il passaggio dell’aria (e quindi degli aromi). Una volta “liberate” le narici, si riusciranno a distinguere gli aromi, soprattutto quelli positivi, come i sentori di pane tostato, cioccolato, fiori freschi e frutta, “spie” di un caffè di ottima qualità. Nella degustazione del caffè, l’esperienza tattile è strettamente collegata a quella gustativa: sono le mucose della bocca, infatti, a “toccare” il liquido, regalando sensazioni di corposità e astringenza (che non deve mai essere eccesiva).
Secondo i produttori, come si può verificare dal termine minimo di conservazione indicato sulle etichette, il caffè dura anche più di un anno e mezzo. In effetti, vista la pochissima acqua presente, non è un alimento che rischia di deteriorarsi o diventare pericoloso per la salute, ma non per questo si mantiene sempre al top. Una volta aperta la confezione, l'aroma del caffè in polvere incomincia a perdersi e, man mano che passa il tempo, diventa sempre meno profumato. Ecco perché è meglio non fare scorte di caffè macinato. Se non siete dei consumatori veloci, potete prendere alcune precauzioni per allungare un po' la vita del profumo del vostro caffè. Dopo l'apertura trasferite la polvere in un vaso richiudibile (meglio se provvisto di guarnizione di gomma e gancio), che non faccia penetrare la luce e abbastanza piccolo, in modo che la quantità d'aria sia minima. Il barattolo dovrà essere sistemato in un "luogo fresco e asciutto", ma secondo gli esperti il frigo è da evitare perché sottopone il caffè a eccessivi sbalzi termici e al rischio di formazione della condensa, cioè umidità. Meglio una credenza con temperatura stabile tra i 15 e i 25 gradi che, al contrario del frigo, evita anche la vicinanza con altri cibi di cui il vostro caffè assorbirebbe l'odore.
Sappiamo che il caffè macinato o, meglio, in polvere, è venduto solitamente in 2 tipi di confezioni: in barattolo metallico o in sacchetto sottovuoto. In genere la confezione in barattolo, più costosa, viene riservata alle miscele più pregiate e care perché garantisce una conservabilità migliore e anche una maggiore durata. Nel barattolo, la polvere di caffè può essere conservata dai produttori in 2 diversi modi: sotto vuoto o in atmosfera protettiva, cioè in una miscela di gas inerti (come l'azoto e l'anidride carbonica) che evitano l'ossidazione delle parti grasse e aromatiche del caffè. Nel sacchetto, il caffè è sottovuoto; in questo caso, il vuoto viene creato con la completa aspirazione dell'aria dal sacchetto che, aderendo al prodotto, forma la caratteristica "mattonella" compatta. Al momento dell'acquisto, fate attenzione che le confezioni siano sigillate. In particolare, evitate i barattoli ammaccati o con parti arrugginite e i sacchetti flosci e morbidi, perché vuol dire che in qualche modo è entrata aria nelle confezioni e l'aroma potrebbe essersi in parte disperso.
Chi vuole godersi il caffè senza subire gli effetti eccitanti della caffeina, ha oggi a disposizione numerosi prodotti tra cui scegliere. Ma vediamo come si ottiene questo caffè... rilassante. Il processo parte sempre dal caffè verde non torrefatto, per evitare di alterare o ridurre le sostanze aromatiche che si formano con il trattamento al calore. Poi però si possono seguire diversi procedimenti. In ogni caso il chicco viene inumidito per facilitare l'estrazione della caffeina. Se si usa l'anidride carbonica, i chicchi vengono fatti passare in "estrattori" che contengono questa sostanza, nei quali la temperatura e la pressione vengono pian piano aumentate. In questo modo il flusso di anidride carbonica estrae la caffeina dai chicchi che poi vengono essiccati. In alternativa l'estrazione avviene in una soluzione acquosa in cui sono già state sciolte le sostanze solubili del caffè. Tali sostanze non vengono assorbite dalla soluzione (che ne è satura) e restano all'interno dei chicchi. Al contrario la caffeina (di cui non c'è traccia nella soluzione acquosa), esce dal chicco. Anche in questo caso segue un'essiccazione. Dopo l'estrazione, i chicchi vengono purificati per eliminare i residui di solventi, sebbene oggi quelli utilizzati siano sicuri per la salute.
Daniela Falsitta e Manuela Soressi
aggiornato ottobre 2024