Seguici su Facebook Seguici su Instagram

Prosciutto cotto: come si fa e come scegliere il migliore

News ed EventiPiaceriProsciutto cotto: come si fa e come scegliere il migliore

È uno dei salumi più amati. Affettato al momento o confezionato in vaschetta, non manca mai nella borsa della spesa. Con l’aiuto di una produttrice e di un esperto scopriamo come nasce e come riconoscere tipologie e qualità

Condividi

Si mette in tavola per un secondo rapido ma gustoso o per arricchire il classico antipasto all’italiana, imbottisce panini e si usa in cucina come ingrediente di tante ricette: è il prosciutto cotto. A torto ritenuto il più semplice dei salumi, meno nobile dei grandi crudi della nostra tradizione e di specialità pregiate come il culatello, in realtà racchiude una lavorazione sapiente. Così, un buon prosciutto cotto è già delizioso mangiato tal quale, ma sa diventare ingrediente prezioso di involtini e saltimbocca, pastasciutte e tortellini, pizze, toast, tramezzini e canapè.

toast al prosciutto

Ci siamo fatti raccontare tutto quel che c’è da sapere sul prosciutto cotto da due esperti: Marella Levoni, direttrice della comunicazione del salumificio mantovano che porta il suo nome, e il dottor Gian Luigi Restelli, che si occupa di formazione e divulgazione organolettica, sempre in Levoni.

La produzione, passo per passo
La prima domanda è, dunque: come si fa il prosciutto cotto? È Marella Levoni a raccontarci i passaggi, dalla carne fresca alla confezione: “Si parte dalla coscia del suino che, nella maggior parte dei casi, viene disossata e aperta a libro, ma può anche essere lasciata chiusa, sfilando l’osso e lasciando intatta la cotenna. Per alcune tipologie particolari, infine, si usa la coscia intera, ancora con l’osso”. Il passaggio successivo è quello dell’insaporimento. Si tratta di far assorbire alla carne una soluzione di acqua e sale in cui rientrano anche gli aromi che ogni azienda sceglie a seconda delle ricette (per esempio pepe, alloro, timo, erbe provenzali). In questa fase ci può essere anche l’aggiunta di vino, in genere Marsala. “Per iniettare questi composti si usa uno speciale macchinario multiaghi, mentre nel caso di prosciutto con l’osso la soluzione è diffusa attraverso i vasi naturali che percorrono la carne”, continua l’esperta. Segue una sorta di massaggio all’interno di zangole, che, ruotando e “manipolando” il pezzo, estraggono determinate proteine che funzioneranno da “collante” naturale in fase di cottura, compattando il prodotto.
Una volta insaporite e massaggiate, le cosce passano in cottura: quelle disossate aperte vengono inserite in stampi con un coperchio a molla, che le tiene ben schiacciate per evitare sacche d’aria all’interno, quelle chiuse sono cotte in una rete. “La cottura avviene in forni a vapore, calcolando più o meno 90 minuti per chilo di peso, fino al raggiungimento di circa 70° al cuore.

A proposito di peso: da cosce fresche fra 10 e 12 chili circa si ottengono prosciutti di 7-7,5 chili, fino ai più grandi, che possono superare i 10 chili. “Al termine, gli stampi vengono sfornati e i prosciutti raffreddati velocemente per fermare la cottura”. Dopo un paio di giorni di riposo, è avvenuta la magia: i prosciutti sono pronti per essere sformati dagli stampi, imbustati sottovuoto e pastorizzati, pronti per il salumiere, oppure affettati e confezionati in vaschette in atmosfera modificata che arriveranno nei banchi frigo di supermercati e negozi.

Quanti tipi di prosciutto ci sono?
Al momento di fare la spesa, la scelta può cadere su tre tipi di prodotto che si differenziano per qualità e contenuto d’acqua. Il “modello base” è quello denominato semplicemente “prosciutto cotto” che non deve sottostare a criteri visivi (come invece le altre tipologie) e ha un’umidità fino all’82%. Segue il prosciutto cotto denominato “scelto” in cui devono essere visibili, in sezione, almeno 3 dei 4 muscoli che formano la coscia, mentre l’umidità deve essere inferiore al 79,5%. Il “top di gamma” è il prosciutto cotto definito “alta qualità”, con 3 su 4 muscoli visibili e limite per l’umidità al 76,5%.

prosciutto cotto

Ricette e lavorazioni artigianali
Dal punto di vista delle ricette, ci possono essere prodotti che si distinguono per tecniche di lavorazione. È il caso del prosciutto arrosto o di quello affumicato naturalmente. A fare la differenza può essere anche la carne di partenza che, per Levoni, è ricavata da suini pesanti di provenienza 100% italiana, principalmente da Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Friuli. L’artigianalità del processo e l’esecuzione di diverse fasi a mano, secondo tradizione (come succede per esempio alla linea L’Artemano), permettono di discostarsi dai prodotti standard per andare verso le eccellenze.

Come si riconosce un buon prodotto
Se le diciture in etichetta sono certamente una prima indicazione, tuttavia “occorre verificare l’integrità della fetta, la visibilità dei muscoli e che siano presenti un corretto strato di grasso e una giusta marezzatura interna”, spiega Restelli. “Il colore non deve essere spento ma rosa brillante. Verso le parti centrali è normale che ci siano punti più pigmentati, tendenti al corallo. Il grasso deve essere bianco, non ingiallito”. Anche per il prosciutto preaffettato in vaschetta si controlla il colore, in particolare ai bordi, scartando prodotti “spenti”, tendenti al grigio.

Grasso sì, grasso no
Molti hanno l’abitudine - errata! - di eliminare il grasso visibile. Che, invece, a livello gustativo ha una funzione importante. “Il grasso fa parte dell’anatomia della coscia”, sottolinea Levoni. “Sia quello esterno (presente in uno strato di circa un cm e mezzo, ndr) che la marezzatura conferiscono dolcezza e scioglievolezza, completano e bilanciano il gusto”. Anche perché, rispetto alla parte magra, quella grassa non è pervasa dal sale: la giusta proporzione fra le due permette perciò di equilibrare la sapidità del prosciutto. Quella che si apprezza, per esempio, quando addentiamo un panino ben imbottito, assaggiando in un boccone le diverse parti delle fette ripiegate.

panino al prosciutto

Senza è meglio?
Una questione molto dibattuta è quella relativa ai conservanti. Fanno male? A cosa servono? Se ne potrebbe fare a meno? “Il tema del ‘senza’ (riferendosi agli additivi) ha un certo appeal sui consumatori”, osserva Restelli. Che tuttavia ricorda come sia necessario, in produzione, utilizzare sostanze e tecniche per garantire salubrità e conservazione. “La conservazione è permessa dall’aggiunta di sale, dalla stessa cottura e da alcune sostanze che prevengono la proliferazione di microrganismi, come quelli che producono le spore botuliniche, e funzionano da antiossidanti. L’uso di questi additivi è regolamentato da leggi specifiche. Più si alza la qualità (dal semplice cotto allo scelto all’alta qualità, ndr), più l’impiego di queste sostanze è limitato”. Tra esse, anche quelle impiegate nei prosciutti più dozzinali per “imprigionare” l’acqua aggiunta e rendere così più “pesante” un salume che, in realtà... contiene meno carne!

Come si conserva
L’esperto sottolinea come la conservazione casalinga del prosciutto (che non è stagionato in cantina come crudi e salami, ma, appunto, cotto) debba avvenire sempre in frigorifero, tra 0° e 4°. Una cosa che non tutti sanno (o che non hanno mai osservato) è che gli affettati in vaschetta hanno quel che si dice un tmc (termine minimo di conservazione), sono cioè da consumare preferibilmente entro la data indicata. Trascorso questo limite, entro un termine ragionevole, se ne possono compromettere le qualità organolettiche (sapore, colore, consistenza, eccetera) ma non la salubrità. Per quanto riguarda quello affettato al banco, la regola suggerita da Restelli è: comprato e mangiato, il giorno stesso o al massimo quello successivo. Anche il confezionato, dopo l’apertura, deve essere mangiato nel giro di due giorni, avendo cura di tenere coperta la vaschetta con pellicola o alluminio.

Sottile o spesso?
Lo spessore del taglio è per certi versi legato alle preferenze personali, per altri all’utilizzo. Restelli veste i panni del degustatore e maestro assaggiatore e sottolinea come fette troppo sottili tendano a sbriciolarsi, mentre quelle spesse possono dare una masticazione difficoltosa, specialmente per quanto riguarda la parte grassa. In cucina, tuttavia, si rivelano la scelta migliore per preparare dadolate e julienne con cui arricchire sughi, insalate e ripieni.

prosciutto cotto a dadini

Ci sono infine i prosciutti più rustici, arrosto o affumicati, che si avvantaggiano di fette più alte. Così tagliate, diventano un ricco spuntino o un secondo a tutti gli effetti, ancor più deliziose se accompagnate con senape, cetriolini e pane di segale, alla moda del Nord Europa.

Francesca Romana Mezzadri
Foto di apertura e prosciutto intero Levoni
Marzo 2023

Abbina il tuo piatto a