Tutto quello che esiste in natura può finire tra i rifiuti umidi. Ma è davvero così?
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Il 40% dei rifiuti raccolti in Italia è rappresentato da quelli umidi: dagli avanzi di cucina ai rametti delle piante del balcone. Sempre più spesso nel bidone dell’immondizia del cosiddetto “organico” finiscono anche contenitori in bio-plastiche, lattiere per gatti, pannolini e fazzoletti di carta. Ma è un’abitudine corretta? Vediamo cosa fare e cosa non fare per diventare “campioni” della raccolta differenziata dell’umido.
Cosa va veramente nell’umido Il torsolo delle mele, i gusci delle uova, le bustine del tè, le foglie di insalata eliminate, i limoni marciti, il prosciutto ormai immangiabile, le lasagne avanzate e i gusci delle cozze: sono solo alcuni esempi degli scarti e degli avanzi di cucina che vanno smaltiti nel bidone dell’umido. Dove possono essere messe anche solo piccole quantità di cenere e di scarti di verde, come fiori, erba, rametti e foglie. Vanno nell’umido anche tovaglioli e fazzoletti di carta, purché siano senza stampe, e anche gli alimenti scaduti, privati dell’imballaggio.
Cosa non va nell’umido Nel secchio dell’umido non vanno le capsule del caffè, che devono essere conferite nell’indifferenziato, e neppure i pannolini né gli assorbenti igienici, anche se compostabili. No anche a polvere, capelli e peli di animali e neppure medicinali, garze e cerotti. E no ai liquidi in genere. Men che meno l’olio usato in cucina o presente nei prodotti confezionati (ad esempio nei sottoli e nel tonno in scatola): va raccolto separatamente e portato negli appositi punti di raccolta.
Biodegradabile non significa compostabile Dalle spugne alle penne, dai fazzoletti di carta ai pannolini per neonati, dalle lettiere per gatti alle capsule del caffè: sono tanti i prodotti sulle cui etichette si legge “biodegradabile”. Ma questo termine non equivale a compostabile. E quindi non significa che vadano smaltiti nel contenitore dell’umido. Facciamo chiarezza. È biodegradabile ogni materiale che si decompone in parte (fino al 90%), nell’arco in media di sei mesi e in particolari condizioni ambientali. Invece, il materiale compostabile si degrada per intero, senza lasciare residui e in tempi più brevi (circa tre mesi). Inoltre, dopo il trattamento in un impianto industriale, può essere riciclato come fertilizzante naturale producendo anche biometano, una fonte di energia rinnovabile. Quindi, riassumendo: un materiale compostabile è sempre anche biodegradabile, mentre un materiale biodegradabile non è necessariamente compostabile.
Ok alla plastica compostabile Se in etichetta compare il termine compostabile è bene verificare se quest’indicazione si riferisce al prodotto o al packaging. E poi controllare che sull’etichetta compaiano o il marchio registrato Mater-bi oppure una certificazione di compostabilità, come OK Compost o Compostabile del Cic (Consorzio italiano per il compostaggio): solo in questi casi vanno gettati nella frazione umida dei rifiuti perché il materiale dell’imballaggio è interamente degradabile.
Attenzione al sacchetto Sarebbe paradossale se, dopo aver messo tanta attenzione nel selezionare cosa mettere nell’umido, si “cadesse” sul sacchetto. Non bisogna utilizzare il primo che capita, perché la raccolta dell’umido va fatta solo in sacchetti biodegradabili e compostabili. Quindi, i normali sacchetti di plastica non vanno bene.
Anziché buttarli, perché non riusarli? I rifiuti umidi raccolti separatamente si possono usare per produrre compost, un fertilizzante naturale simile al terriccio che può sostituire i concimi chimici in giardino o nell’orto.Una pratica facile da fare (ci si può aiutare anche con gli appositi kit) purché si possa contare su una buona quantità di rifiuti umidi e che non li si compatti troppo in modo che mantengano il giusto livello di umidità. Per realizzare il compost domestico occorrono dai 6 ai 18 mesi, in relazione ai rifiuti utilizzati e al periodo dell’anno.