L'arte di conservare il pesce per mantenerne inalterate le qualità organolettiche è strettamente correlata all'identità territoriale dei luoghi di produzione e alla cultura delle rispettive comunità. Tali affinità, nel tempo, hanno favorito il consolidamento delle varie tecniche: l'essicazione, l'uso del sale, la marinatura e l'affumicatura, con risultati gustativi lusinghieri e talvolta sorprendenti.
Piuttosto significativo in tal senso è il caso del merluzzo. Il pesce dei mari del nord è entrato a far parte della nostra alimentazione dopo il Concilio di Trento, svoltosi tra il 1545 e il 1563, che si concluse con la riforma del calendario liturgico. Aumentarono i giorni stabiliti per il digiuno, al di là del periodo di Quaresima, nelle vigilie delle feste più importanti.
L'astinenza dal cibo non riguardò, però, le creature degli abissi, il cui consumo era ammesso e la cui domanda aumentò. Per farvi fronte si incrementò l'importazione di merluzzo, conservato nelle due versioni: lo stoccafisso, il "pesce bastone", appeso ad asciugare all'aria fredda delle coste norvegesi, e il baccalà sotto sale, entrambi diventati protagonisti di prelibate ricette regionali come il baccalà alla vicentina e lo stoccafisso alla ligure.
La "salagione", tecnica antica
La pratica di conservare il pesce sotto sale era già nota al tempo dei Romani, anche se i primi documenti che ne parlano risalgono al Medioevo.
Gli statuti delle città marinare liguri citano il "pisce salsa", utilizzato anche come merce di scambio, in particolare con il Piemonte, dove le acciughe sotto sale del mar Ligure sono diventate l'ingrediente di molti piatti tradizionali, come la bagna cauda.
I pesciolini, puliti subito dopo la pesca vengono messi a maturare con il sale marino. Segue poi una fase di maturazione, che dura circa 2 mesi, durante la quale viene scolato il liquido che man mano si forma per sostituirlo con una salamoia alla giusta percentuale di sale.
Risale a una tradizione antichissima anche la colatura di alici di Cetara, borgo di pescatori nel golfo di Salerno, oggi eccellenza gastronomica e presidio Slow Food. Pare derivi dal "garum": ne parla il celebre gastronomo romano Marco Gavio Apicio, presunto autore del ricettario De re coquinaria, la cui esatta composizione, tuttavia, è rimasta ignota. Si ipotizza fosse ricavato dalla lavorazione di acciughe, sale e altre sostanze.
Da qui potrebbe essere nata l'intuizione della colatura, una squisitezza che prevede un procedimento paziente e preciso: le acciughe fresche vengono private della testa ed eviscerate a mano, al massimo entro 8 ore dalla cattura. Poi, sempre manualmente, si dispongono in botticelle di legno chiamate terzigni (un terzo di botte), a strati alterni con abbondante sale marino, e poi si pressano con un coperchio e alcuni pesi.
Durante i 4-5 mesi di maturazione, i pesci producono un liquido sapido dal gusto forte di mare, la colatura, spillata dai terzigni attraverso un foro, raccolta in contenitori e talvolta affinata per concentrare il sapore. Non per nulla, ne bastano minime quantità per dare slancio a diverse pietanze di pesce o verdure.
La ghiotta passerella dei pesci conservati sotto sale trova una logica conclusione nel vigore espressivo della bottarga, che si ottiene dalla lavorazione delle sacche ovariche del tonno o del muggine, pulite, messe sotto sale, pressate e poste ad asciugare. Grattugiata, o a fettine, si sposa deliziosamente con primi e risotti di mare.
Le altre conserve di tradizione
Tra le varietà di pesce in conserva più pregiate non si può non citare la ventresca di tonno sott'olio, per la quale si utilizza la parte più nobile del pesce, quella che si ricava dai muscoli del ventre. La tipologia che si adatta meglio per la conservazione sott'olio è quella con le "pinne rosse". Pulita e cotta con cura, la ventresca è ripartita in filetti, tenendo presenti le esigenze commerciali.
Un'autentica chicca è la sardella, una prelibatezza calabrese che deriva dalla sapiente lavorazione del novellame di acciughe e sardine, marinato con peperoncino, finocchio selvatico e sale.
Un discorso a parte merita l'affumicatura, un processo antichissimo che sottopone il pesce all'azione del fumo della combustione lenta e senza fiamma di trucioli di legni non resinosi. Un esempio è dato dalla concia del pescespada.
Le fette, preparate adeguatamente, vengono prima coperte di zucchero e sale. Segue il passaggio in forno per eliminare ogni traccia di umidità e infine si passa alla fase finale, fatta esclusivamente con trucioli di legno di faggio.
Di Salvatore Marchese
settembre 2022