La pizza è in assoluto la specialità italiana più infornata, gustata e amata non solo nel nostro Paese, ma al mondo. Ma, almeno per noi, non basta dire pizza per identificarla. Perché ne esistono infinite varianti, tante da mettere in difficoltà anche i più esperti. Accanto alla “regina” napoletana e alla romana scrocchierella trovano posto le più svariate declinazioni, comprese le “nordiche” come la milanese al trancio e la torinese al padellino. Ecco allora una guida ragionata alle pizze d’Italia.
Napoletana e le sue sorelle
Come già detto, è senza dubbio la regina delle pizze, anche nell’immaginario collettivo. Tanto che di locali denominati “Bella Napoli” se ne trovano in ogni continente, a ogni latitudine! La vera pizza napoletana è certificata Stg (Specialità tradizionale garantita) e l’arte del pizzaiolo è, per l’Unesco, patrimonio immateriale dell’umanità.
L’impasto è di farina bianca, acqua e sale. Per una migliore lievitazione, si aggiunge a volte parte dell’impasto del giorno prima. Niente grassi e un’idratazione (ovvero, la quantità di acqua in rapporto alla farina) fra il 58% e il 65%. La stesura è rigorosamente a mano, con i tipici gesti “acrobatici” eseguiti dai pizzaioli: è il cosiddetto “schiaffo” che, da un panetto di circa 250 g di peso, permette di ottenere un disco sottile che trattiene l’aria sviluppata durante la lievitazione. La cottura avviene per disciplinare in forno a legna sebbene l’Associazione verace pizza napoletana stia aprendo negli ultimi anni a forni elettrici (essenzialmente per un discorso di sostenibilità), purché con precise caratteristiche. La più importante è che il forno possa raggiungere i 440-460°, la temperatura necessaria perché la pizza cuocia in 60-90 secondi al massimo. Visivamente, la pizza napoletana si distingue per il cornicione gonfio e ben alveolato, ovvero percorso da grosse bolle. Attenzione: deve essere gustata caldissima perché la natura dell’impasto fa sì che, raffreddandosi, diventi gommosa.
Arrivano dalla tradizione partenopea anche altre specialità: non si possono non citare la pizza fritta (nella foto in alto) e il calzone: entrambi ripiegati a mezzaluna, sono farciti tipicamente con un ripieno di ricotta, fiordilatte, parmigiano e salame. Come dice il nome, la prima (ottima anche nella versione con scarola) è tuffata nell’olio bollente, il secondo infornato. A chiudere la “famiglia” delle specialità campane, la casertana, più piccola della napoletana e con un cornicione ancor più sviluppato.
La romana multiforme
Di pizze romane ne esistono almeno tre: quella tonda, quella alla pala e quella al taglio. Partiamo dalla prima, che si differenzia dalla napoletana per l’impasto, meno idratato, arricchito da un preimpasto di acqua, farina e lievito e, spesso, anche da un filo d’olio. Le “bocce” sono piccole, intorno ai 150-180 g: una volta stese, danno una pizza sottilissima che, infornata a circa 400°, risulta praticamente priva di cornicione e molto croccante o, come dicono a Roma, scrocchierella. Lo stesso morso “crunchy” caratterizza anche la pizza alla pala, che è invece superidratata (con un rapporto acqua/farina intorno al 75-80%) e una lievitazione lenta, in frigorifero, che può arrivare fino a 24 o addirittura 48 ore. Questo impasto viene steso in una forma allungata, lasciato bianco o farcito e infornato con la pala. Se invece è steso in teglia, si ha la cosiddetta pizza al taglio. In entrambi i casi la cottura è lunga, anche 10 minuti, a temperature decisamente più basse che in pizzeria, intorno a 250°.
Il risultato è una pizza croccante fuori che all’interno presenta grossi alveoli ed è abbastanza alta da poter essere tagliata a metà e imbottita, come nel classico abbinamento fra pizza bianca e mortadella (foto in alto).
La milanese al trancio
Alta, anzi, altissima e con una base croccante, ha un impasto soffice che sviluppa una caratteristica alveolatura fitta e fine: è la pizza al trancio milanese, nata negli anni Cinquanta nella storica pizzeria Spontini (nella foto in alto, la classica margherita), diventata nel tempo una catena con punti vendita persino in Corea e Giappone. Uno stile di pizza che oggi è proposto da decine di locali alla mano e take away, perfetta per un lunch veloce meneghino. Riccamente farcita, è cotta rigorosamente in teglia: tonda, venduta a grossi spicchi, o rettangolare, tagliata in tranci filanti. Che i più golosi ordinano nella versione “doppia mozzarella”.
La torinese al padellino
Detta anche al tegamino, ha una storia vecchia di decenni e sta vivendo nuovi fasti. Preparata all’ombra della Mole dal Dopoguerra agli anni Settanta, fu poi soppiantata dalla “moda” della pizza napoletana, per ritornare in auge con il nuovo Millennio, complice la rinascita turistica della città di Torino, come specialità local, decisamente diversa da tutte le altre pizze tonde d’Italia. Per prima cosa è piccola, circa 20 cm di diametro, cotta e servita - come suggerisce il nome - all’interno di un tegamino di latta che rende la base croccante. La pasta risulta alta e soffice grazie all’alta idratazione ma, soprattutto, alla doppia lievitazione. Il primo riposo è quello dell’impasto finito (preparato con farina, dosi minime di lievito, acqua e sale). La seconda avviene con le porzioni già stese nei padellini e spalmate di pomodoro: dura almeno 12 ore, a temperatura di frigo, e termina al momento dell’ordine del cliente, quando si completa la farcitura e si cuoce a temperature abbastanza moderate (intorno ai 280°) per una decina di minuti.
La gourmet, o pizza da degustazione
Se ne parla ormai da tempo, tanto che il termine risulta un po’ inflazionato. Ci sono tuttavia alcune caratteristiche che possono identificare una pizza come gourmet. Le parole chiave potrebbero essere ricerca e selezione: sugli impasti, le tecniche di lievitazione e gli ingredienti scelti per i topping, ovvero le guarnizioni. Sulle pizze da degustazione, nate per essere condivise e quindi servite a spicchi, accanto a pomodori e mozzarelle di qualità trovano posto gli ingredienti più disparati: dal vitello tonnato al pesce crudo, dai salumi pregiati agli ortaggi “dimenticati”. Persino la frutta, come dimostrano ottime interpretazioni della tanto vituperata pizza con l’ananas. Come quella di Simone Lombardi (pizzeria Crosta, Milano) che recupera le sue origini messicane abbinando al frutto esotico coriandolo e cipollotto e torna in Italia aggiungendo la ventricina, salame abruzzese morbido e piccante. O quella ideata da Franco Pepe (pizzeria Pepe in grani a Caiazzo, Caserta), arrotolata a cono e farcita con ananas, crudo di San Daniele e fonduta di Grana Padano Dop.
I pizzaioli star e l’evoluzione della pizza
Accostare il termine gourmet alla pizza porta inevitabilmente a parlare delle nuove star del food system: i pizzaioli celebri e i loro locali che, come direbbe una famosa guida, valgono il viaggio. Elencarli tutti è impossibile ma siamo sicuri che, fra quelli che vi stiamo citando, ci sono molti nomi noti, anzi, notissimi al grande pubblico. Fra i campani, ricordiamo il casertano Francesco Martucci (I Masanielli), il primo a introdurre in pizzeria un percorso di degustazione comme il faut, e il napoletano Enzo Coccia (nella foto in basso) con la sua Pizzaria (la “a” non è un refuso!) La Notizia, che ha vantato a lungo il primato di guidare l’unica pizzeria citata sulla Michelin.
Napoletano Doc anche Gino Sorbillo, che alla sede storica di via dei Tribunali ha affiancato aperture in tutta Italia, Usa e Giappone. Un percorso che stanno intraprendendo molte altre insegne storiche di Napoli come la celeberrima pizzeria Da Michele che, grazie ad Alessandro Condurro (erede del capostipite che ha dato vita all’attività nel 1870), è oggi un brand riconosciuto a livello nazionale e internazionale.
A Roma la rockstar è Gabriele Bonci (Pizzarium, foto in alto), fornaio di nascita e pizzaiolo per naturale evoluzione, famoso per aver ideato un metodo adottato da tanti pizzaioli amatoriali, con lunghe lievitazioni e utilizzo lievito di birra secco. L’innovazione nella Capitale è interpretata da Stefano Callegaro con il Trapizzino, il cono di pizza con la cucina romanesca dentro esportato da Firenze a New York. Mentre un indirizzo sicuro per la pizza al taglio che fa crock è Angelo e Simonetta del presidente dell’Api (associazione pizzerie italiane) Angelo Iezzi.
Ci spostiamo a Bologna, da dove è partito il successo di Berberè dei fratelli Salvatore e Matteo Aloe (nella foto in alto), calabresi di nascita, che oggi contano 15 locali in Italia e uno a Londra: in tutti, non manca una porzione del lievito madre che rappresenta la firma dei fratelli pizzaioli.
In Veneto brillano le stelle di due veronesi: Simone Padoan (nella foto in alto) con I Tigli, a San Bonifacio, da molti considerato il papà delle pizze gourmet, e il “pizzaricercatore” - come ama definirsi - Renato Bosco di Saporè, a San Martino Buon Albergo e a Milano. Il capoluogo lombardo ospita, infatti, succursali di molte delle insegne sin qui citate e ha dato i natali a diverse imprese di successo, tra locali storici come il Dry, chef pizzaiolo Lorenzo Sirabella, mago delle “focacce” gourmet, e aperture recenti. Fra queste spicca Crocca dove Nanni Arbellini, dopo aver creato con i soci Stefano Saturnino e Ilaria Puddu format di successo come Pizzium, Marghe e Giolina, dà nuovo lustro alla pizza sottile sottile e, appunto, supercroccante.
Anche se lo scettro di pizza più crunchy del momento lo vince la versione “di montagna” di Denis Lovatel (nella foto in alto) che da Alano di Piave, in provincia di Belluno, ha portato le sue specialità prima nell’esclusivo Hotel Rosa Alpina di San Cassiano (Bolzano), “casa” del tristellato Norbert Niederkofler e del suo ristorante St. Hubertus, poi proprio a Milano, dove ha appena aperto un locale in stile chalet metropolitano dove gustare la sua pizza “croccante contemporanea”, friabile a ogni morso, dal cornicione al centro. E chissà mai che nasca un nuovo stile...
Francesca Romana Mezzadri
Foto della pizza napoletana Brimfield Bread Oven
Agosto 2022