Platone ne era ghiotto al punto da meritarsi l’appellativo di “mangiatore di fichi”, ed era convinto che mangiarli contribuisse ad accrescere l’intelligenza. Plinio il Vecchio attribuì loro il potere di aumentare il vigore fisico nei giovani e di preservare la buona salute degli anziani (Naturalis Historia, I sec. d.C.). I fichi sono con noi da moltissimo tempo - sono dolcissimi, gustosi al naturale e perfetti in cucina, ma non solo…
Il frutto più dolce
Il fico ha avuto origine nel Vicino Oriente; i fichi commestibili furono sviluppati per la prima volta probabilmente circa 6.000 anni fa ed erano certamente conosciuti nelle antiche città di Babilonia e Ninive. Foglie di fico e frutti sono stati identificati nei disegni sui monumenti assiri; rappresentazioni artistiche dell'antica Ninive ne mostrano la coltivazione. Su tavolette babilonesi datate intorno al 2000 a.C. si trova la frase “più dolce dei datteri o dei fichi”. Erano conosciti anche in Egitto fin da prima del 2750 a.C., grazie alla scoperta di un piatto di fichi stufati in una tomba della seconda dinastia a Saqqara, ed è documentato che gli antichi Egizi, come gli Ittiti, prediligevano dolci e pane cotti con i fichi.
Amati e adorati dagli antichi Greci e Romani, rimasero localizzati nelle regioni del Mediterraneo e del Vicino Oriente fino al XII secolo circa. Coperta dalla lava del Vesuvio in seguito all’eruzione del 79 d.C., Villa Poppea – proprietà di Nerone a Oplontis (l’attuale Torre Annunziata) – è stata rinvenuta e inserita nel Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1997. All’interno della villa, un affresco raffigura un sontuoso cesto di fichi (foto sotto).
Negli ultimi 800 anni l'amore per i fichi si è diffuso in molti altri paesi, compresi quelli del Nord Europa, dove furono introdotti per la prima volta dai soldati di ritorno dalle Crociate. Le conquiste moresche nella penisola iberica portarono la produzione di fichi su larga scala in Spagna e Portogallo, che si dimostrarono climaticamente molto adatti e dove i fichi divennero rapidamente una parte integrante della dieta iberica.
Per pochi o per tutti?
I fichi (insieme a formaggi, frutti di bosco, funghi commestibili, baccalà, …) fanno parte di un piccolo gruppo di alimenti che possono essere considerati sia cibo per i nobili sia cibo per i più poveri. Sono vivande molto comuni, cibo del popolo, di tutti i giorni, ma talmente deliziosi che le élite nella Storia hanno sentito il bisogno di reclamarli come speciali per poterli avere sulle proprie tavole. Deliziosamente dolce e molto morbido, il fico fresco fu considerato un frutto di lusso supremo anche nei paesi dove cresceva in abbondanza. Il più umile fico secco, invece, è stato a lungo un alimento base nei paesi mediterranei: nell'antica Roma era usato per nutrire gli eserciti in marcia, come sostituto del pane. Secondo la leggenda, Cleopatra dopo la morte di Marco Antonio scelse di avvelenarsi con il morso di un aspide: l'aspide per la regina fu portato in un cesto di fichi. Nella Grecia continentale i fichi freschi erano considerati un cibo esclusivo per i più ricchi e per la classe sacerdotale. Plutarco riporta che Solone, intorno al 590 a.C., aveva proibito l'esportazione di fichi fuori dall’Attica, e sentenziato che questa legge fosse applicata vigorosamente. Coloro che tentavano di contrabbandare fichi fuori dalla regione potevano essere denunciati alle autorità da semplici cittadini, “denunciatori (dei ladri) di fichi” (in greco sykophantes), da cui ha origine il termine sicofanti. Nei secoli successivi, con la forte diffusione della coltivazione in tutta la Grecia i fichi divennero un alimento base delle classi meno abbienti. Proverbi italiani come “Al fico l'acqua e alla pera il vino” collocano i fichi nella tradizione di cibi lussuosi che non vogliono il vino ma l'acqua, come i carciofi e gli asparagi, considerando che avere acqua pulita e potabile era di per sé un lusso in epoca medievale. Inoltre, il fico fresco è molto deperibile, nel Medioevo aveva quindi il valore aggiunto della scarsa reperibilità.
La foglia di fico: storia di un albero, due peccatori, la morale pubblica
Sebbene il fico venga normalmente coltivato per i suoi frutti, è anche un bell'albero ornamentale: la Royal Horticultural Society inglese, con un fraseggio curioso, chiama il suo fogliame “architettonico” (foto sopra). Il fico, quindi, può crescere anche in regioni più settentrionali – dove però i frutti non matureranno. Nella Genesi della Bibbia, si legge che Adamo ed Eva nel Giardino dell'Eden usarono parte di quel “fogliame architettonico” per coprirsi quando si resero conto della loro nudità. Sempre parlando di Eden, nel Corano il profeta Maometto dice “Se dovessi desiderare che un frutto venga portato in paradiso, sarebbe sicuramente il fico”.
Così, nei secoli che seguirono l’avvento del Cristianesimo nell’Impero romano, per modestia i soggetti di dipinti e statue ispirati all’Antico Testamento o alla mitologia – anche veri capolavori – sono stati ritratti da subito con una foglia di fico (vedi sopra) oppure questa è stata aggiunta in un secondo momento, come è successo all’affresco di Masaccio (celebre artista italiano del primo Rinascimento), Cacciata dei progenitori dall'Eden: l’affresco è stato dipinto intorno al 1425 sulle pareti della Cappella Brancacci, nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze – oggi per fortuna restaurato alla sua primitiva bellezza. Il termine foglia di fico è spesso usato come metafora di un tentativo (di solito futile) di nascondere qualcosa di potenzialmente imbarazzante.
Non vali un fico! O forse sì
Curiosamente, i fichi trovano uno spazio in frasi popolari e volgari come “non vale un fico” e “non m’importa un fico”. Nel II secolo d.C., Ateneo di Naucrati, scrittore egizio naturalizzato greco, nonostante il grande amore per i fichi dichiarato più volte nel suo Deipnosophistai (“I dotti a banchetto”), una delle fonti più importanti di arte culinaria e dolciaria dell’antica Grecia, già usa l’espressione “non vale un fico”, motto che esiste in molte altre lingue, in particolare in turco, in francese (La vie ne vaut pas une figue) in italiano e in inglese. Entrambe le espressioni sono state usate da William Shakespeare nell’Enrico V, dove i protagonisti sentenziano più volte “non me ne importa un fico”, fino ad avere un «Muori, e sii dannato; un fico per la tua amicizia». Il vernacolo italiano è attento a sottolineare il lato popolare del nostro frutto, e quindi specifica “Non me ne importa un fico secco” o si fanno le “nozze con i fichi secchi” (foto sopra), sempre per sottolineare lo scarso valore dato al povero frutto. In spagnolo, il fico si fa strada in diversi detti popolari come Por San Miguel, los higos son miel (per San Michele i fichi sono dolci come il miele; il giorno di San Michele è il 29 settembre) oppure il proverbio che scandisce il tempo e ci dice che i fichi hanno bisogno di maturare: Olivares de tu abuelo; higueras de tu padre, y viñas de ti mismo (Gli ulivi di tuo nonno; i fichi di tuo padre; i vigneti tuoi).
Dolcezza tentatrice in cucina e nel bicchiere
Il più noto scrittore di cibo romano, Apicio, fu uno dei primi sostenitori dell'attento abbinamento dei sapori - l'essenza della gastronomia – e nelle sue ricette consigliava “prosciutto bollito con fichi e alloro, poi strofinato con miele” e “Pollo bollito nel vino di fico aromatizzato con semi di aneto, menta secca, senape e aceto”. Il vino di fico era conosciuto nell'antico Iraq e nell'antico Egitto, ed era particolarmente apprezzato nell'antica Roma, dove Apicio, che ne era un estimatore, e altri contemporanei lo chiamavano caricarum, dalla cultivar più diffusa Ficus Carica. Si dice che il maestro di Seneca apprezzasse vino a base di fichi verdi. Ancor più del vino d'uva, in queste antiche società il vino di fico era associato ad attività di intrattenimento, balli, scherzi e lazzi. Apicio inoltre raccomandava di dare fichi a oche e maiali per migliorare il sapore della loro carne. I francesi hanno continuato la tradizione romana di attribuire uno status speciale al foie gras da oche nutrite con fichi (foto sopra).
Francesca Tagliabue
luglio 2022