Figlio d'arte, spinto da mille passioni, ha conosciuto le cucine del mondo prima di ripartire da quella di casa. Oggi Riccardo De Pra è alla guida del ristorante Dadolada, espressione più autentica della sua visione culinaria che unisce tradizione e modernità
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Riccardo De Pra, JRE Il Borsalino e non la toque, è il segno distintivo di Riccardo De Pra che lo indossa ispirandosi al nonno paterno (“lui lo metteva anche per andare nel pollaio”). Jeune Restaurateur dal 2003, De Pra ha cominciato a farsi le ossa giovanissimo, a 15 anni, in un ristorante del lecchese. La sua è una famiglia di ristoratori da 4 generazioni e proprio al padre Enzo si deve, all’inzio degli Anni 70, la conquista della prima stella Michelin d’Italia. “Far parte dei JRE mi ha permesso di intensificare gli scambi con i colleghi, persone che vivono la mia vita e sanno cosa significhi”.
“Da bambino cercavo di farmi invitare da un mio amico il giovedì, quando sua mamma faceva gli gnocchi”, racconta Riccardo, nato tra i cavoli e i fornelli inox del ristorante di famiglia. “Era la cucina casalinga ad attirarmi, perché non la conoscevo”. È stato però dopo anni di lavoro tra Italia, Francia e Inghilterra che si è scoperto innamorato sul serio del mestiere di chef, tanto da trasferirsi per un lungo periodo in Giappone a completare la sua formazione sotto la guida del maestro Hiroisha Koyama. Quest’esperienza è stata determinante per poter cogliere nel cibo una scala di toni prima impensabile. “C’era solo un problema: alla fine ero così sofisticato che non mi capiva più nessuno”, dice ridendo. Così ha deciso di ripartire proprio da lì, da quella cucina casalinga che l’aveva appassionato da bambino. Un’idea grazie alla quale lo chef di Pieve d’Alpago ha trovato il preciso punto di incontro tra i boschi del bellunese e l’alta cucina, tra la tecnica e la tradizione.
La cucina Oggi che la sua tavolozza ha i colori necessari per “dipingere” qualsiasi ingrediente, esce di casa con il pick-up e si lascia ispirare. A volte compra selvaggina (famosa la sua tartare di cervo su fetta di larice appena tagliata con infuso di conifere), salmerino alpino e agnello d’Alpago, allevati nella sua vallata, ma altre volte si spinge fino al mercato del pesce di Chioggia, si innamora di una partita di ricci del sud Italia o di una fornitura di caviale in cui si imbatte mentre svolge attività di consulenza in Russia. “Non è il km 0 a interessarmi ma tutto ciò che è buono”. Come la volta che fu incaricato di cucinare il pranzo di nozze di George Clooney e Amal. Erano a Venezia, ma l’attore parlava entusiasta di un piatto di spaghetti al limone. Perché contraddirlo? Meglio rispondere creando il miglior risotto con canocchie profumato dall’agrume di Amalfi.