È passato ormai ben più di un decennio da quando alcuni imprenditori visionari cominciarono a studiare il modo di ottenere una “carne vegetale”. Virgolette d’obbligo per un prodotto proteico che, di fatto, è alternativo alla carne. E non abbiamo usato il termine “alternativo” a caso: perché sempre più consumatori si stanno accostando al mondo plant based pur non essendo vegani o vegetariani. Non per sostituire i cibi di origine animale, ma per avere un alimento in più da inserire in una dieta che resta onnivora. Tra loro, i sempre più numerosi flexitariani che, con le motivazioni più varie, scelgono di ridurre i consumi di carne, pesce e derivati. Ma anche tanti curiosi che scoprono burger, polpette, macinati e bocconcini sempre più gustosi, divertenti da cucinare e con il valore aggiunto della sostenibilità.
Cosa sono
Diciamo subito che sono prodotti proteici che, tuttavia, si differenziano molto da quelli tipici della dieta veggie a base di soia, come il tofu, o di glutine come il seitan. La caratteristica principale è infatti quella di avvicinarsi, nella consistenza e nel gusto, alla carne. Così, quelli “tritati” sono rossi e succulenti come fossero di manzo, quello “polposi” hanno una struttura a fibre allungate simile a quella del pollo o del maiale. Hanno una buona sapidità, il cosiddetto “umami” che si potrebbe tradurre con “sapore di saporito”. Per quanto riguarda i formati, in principio erano i burger, o patties: le classiche polpette schiacciate da mangiare nel panino, con verdure fresche e salse d’ordinanza. Mentre oggi le declinazioni sono numerose e, in onore alle tradizionali specialità di street food, hanno spesso nomi inglesi come nuggets (pepite, ovvero crocchette), pulled (sfilacciato), chuncks (bocconcini), meatball (polpette), minced (macinato), sausages (salsicce).
Un successo in crescita
I nomi scelti dalle start up che, Oltreoceano, lanciarono per prime la sfida green (lo raccontavamo in questo post e in quest’altro), esprimevano tutto il senso della scommessa: Beyond Meat (dove “beyond” significa “oltre”) e Impossibile Burger erano dichiarazioni d’intenti, prima ancora che marchi. Oggi, la carne a base vegetale è una realtà solida che piace sempre di più, come confermano i dati raccolti dalle società di delivery: sia Just Eat che Uber Eats mettono il burger vegano al primo posto delle scelte veggie dei loro clienti. E i competitor delle due aziende americane sono sempre di più. I brasiliani di Future Farm si ispirano (e ambiscono ad ispirare!) “alla generazione pro-terra, finalmente a favore del nostro pianeta”. In Europa, la sfida è stata raccolta dalla svedese Ikea, che ha rivisitato in chiave cruelty free le sue celebri polpette, mentre il mondo delle start up ha visto nascere la spagnola Heura e la svizzera di Planted. Quest’ultima, “incubata” nel 2019 al Politecnico di Zurigo e diventata realtà grazie all’intraprendenza di 4 studenti, è sbarcata sul nostro mercato con una scelta ben precisa: quella di non puntare su burger e macinati vari ma solo sulle declinazioni “solide”.
La lista degli ingredienti
Le formule sviluppate dalle diverse aziende sono, infatti, molto diverse fra loro. Dal punto di vista del gusto, le proteine più efficaci si sono dimostrate quelle ricavate dai piselli. Che però, soprattutto nei macinati, vengono mescolate a molti altri ingredienti: principalmente soia, ma anche altri legumi e cereali, grassi, fibre, amidi, addensanti, stabilizzanti. Aggiunte necessarie per ottenere la giusta consistenza di burger, salsicce, polpette, “chorizo”, würstel e compagnia. È per accorciare il più possibile la lista degli ingredienti che Planted ha deciso, al contrario, di non “creare” niente di tritato ma “carne” solida, più semplice da “far stare insieme”. Così il “chicken”, bocconcini che ricordano un tenero petto di pollo, è preparato con proteine e fibre di piselli, acqua e olio di colza. A questi 4 ingredienti il “pulled” (nella foto in alto), formato da sfilacci, aggiunge proteine di avena e di girasole, mentre il “kebab” è in fettine sottili insaporite con spezie mediorientali. Gli ingredienti sono a filiera corta, provenienti da coltivazioni locali: così, si assicura anche la sostenibilità ambientale. Perseguita ormai dalla maggior parte delle aziende del settore, che adottano sistemi produttivi competitivi in termini di risparmio di risorse idriche e calo delle emissioni di CO2.
L’aspetto nutrizionale
Interessante notare come i prodotti plant based abbiano un apporto calorico simile, se non inferiore, ai corrispondenti animali e comunque un contenuto di grassi saturi nettamente inferiore. Poi, come è ovvio, tutto dipende dalle ricettazioni: sia all’origine (le versioni aromatizzate sono in genere più ricche) che in cucina, dove i prodotti al naturale possono essere saltati, rosolati e conditi con olii e salse, rivelandosi comunque una scelta salutare grazie alla composizione nutrizionale di partenza. E fornendo un motivo in più per farne, davvero, un’alternativa percorribile per cambiare la nostra alimentazione e il nostro impatto sull’ambiente che ci circonda.
Francesca Romana Mezzadri
aggiornato gennaio 2023