Coltivare un’idea per restituire alla terra ciò che la terra ci dà: la vita.
È il Rinascimento agricolo delle Marche. È il fondamento del biologico che qui ha avuto il primo innesco. Se l’Italia ha il 15,6% di superfice a conduzione naturale, nelle Marche la quota supera il 22%. Si è sostanziata questa vera rivoluzione verde nei campi che furono dominio di Federico da Montefeltro, il condottiero che fece di Urbino una delle capitali del genio e del bello. Sono gli orizzonti di Raffaello, di cui è appena trascorso il cinqucentenario, che va incontrato qui nella sua culla di genio. Tutto intorno è campagna verde d’orto, dorata di spighe, argentata d’ulivi, ilare di girasoli, croccante di granturco, copiosa di pesche e mele, animata di pecore e vacche, turgida d’uve che danno il primato di produzione di vini bio. Tant’è che le Marche oggi si candidano a primo distretto biologico d’Europa con 2100 imprese agricole messe in rete.
Viva il biologico
Quell’idea che oggi si è fatta patrimonio comune - girando s’incontrano cartelli pittati dai bimbi con scritto “Viva il biologico” – era ostica negli anni ’70, quando la gente scappava dai campi per andare in fabbrica. La lanciò Gino Girolomoni, che a 24 anni diventa Sindaco di Isola del Piano, dov’è nato contadino. È una sorta di nuovo benedettino laico: il suo ora et labora diventa “produci secondo natura dando il giusto reddito a chi coltiva”. E non è un caso che la rivoluzione verde di Gino Grolomoni parta da un avito convento: il monastero di Montebello. Lo restaura e con Tullia (la moglie) e il figlio va a viverci in un unico stanzone per cominciare la sua avventura, che oggi si è fatta green deal europeo. Montebello diventa un centro culturale importantissimo, ma passeranno 20 anni da quando Girolomoni produce la prima pasta, la prima passata di pomodoro e il primo succo di frutta biologici a quando finalmente arriva, nel 1996, la legge che disciplina il coltivare e il produrre secondo natura. Il marchio che inventa con Tullia diventa un punto di riferimento. Ma Tullia se ne va troppo presto. Gino vende il marchio, si sente perso e la segue di lì a poco, a 65 anni. Sembra che Montebello sia destinato a tacere, ma il sindaco-contadino ha seminato idee ed esempi fertili tra il fiume Musone e i monti della Cesana. Così rinasce la cooperativa Gino Girolomoni e diventa polo produttivo per contrastare il falso biologico, per offrire un’alternativa alla produzione agroalimentare convenzionale. Oggi vanta un mulino ipertecnologico dove macina i propri cereali, ha un pastificio d’avanguardia dove l’essicazione è affidata al tempo e al vento e dove l’energia che muove le macchine e le macine è riciclo di scarti del bosco. Si coltivano legumi e si offre ospitalità nella Locanda (deliziosa) e nell’agriturismo, nel Convento che è stato la culla del biologico italiano. Gino sorride ancora dalle confezioni di pasta - premiate per efficacia e sostenibilità del packaging all’ultimo Sana di Bologna (il salone del biologico) - incorniciato da un logo che recita: “Civiltà contadina, per noi uno stile di vita”.
La cooperativa
È lo spirito che anima Giovanni Battista Girolomoni, il figlio di Gino, che porta avanti le idee del padre, condivise dagli 80 soci e dai 35 ragazzi che lavorano nella cooperativa: produce 5 mila tonnellate di pasta all’anno, venduta per il 90 % all’estero. Tutto intorno è grano e leccio, è pascolo e foresta. Sono stati i Papi a decretare che le Marche fossero il granaio d’Italia; e il marchigiano Nazzareno Strampelli, con la moglie Carlotta (nipote di Napoleone), ha creato i grani che oggi sfamano il mondo: a cominciare dal famosissimo e ottimo grano duro Cappelli che ha caratteristiche gastronomiche uniche. Nelle Marche - da Isola del Piano passando per Piticchio, Camerino, Osimo, Monte San Pietrangeli fino a Campofilone - c’è un distretto della pasta che sta al pari di Gragnano e di Fara San Martino, con una particolarità: qui si fa anche tanta pasta all’uovo, ma con la semola, secondo la ricetta delle “vergare”, le mogli dei contadini, autrici di una sublime cucina di territorio.
Il secondo capitolo del romanzo con la natura
Sotto Arcevia contornata dei suoi castelli (nove nel raggio di dieci chilometri), tra Loretello (magnifico) e Piticchio (il castello dell’Amore), s’apre il secondo capitolo di questo romanzo della natura. Prima di arrivarci conviene però fare una deviazione verso Pergola per ammirare dei capolavori assoluti; sono i bronzi dorati. Quattro statue che raccontano la gloria di Roma: hanno 2100 anni e testimoniano come qui il bello e il buono siano radice. Lo sanno a La Terra e il Cielo, un’altra cooperativa vessillo del biologico. Ricorda Bruno Sebastianelli, storico presidente: “Abbiamo cominciato con il bio quando non c’erano ancora le leggi. Mi ricordo che ci hanno denunciato perché producevamo (noi e Gino Girolomoni) la pasta integrale, che non si poteva chiamare così. La Terra e il Cielo è partita con 32 ettari in affitto dal comune di Senigallia nel 1978 e le Marche sono state la prima regione, nel ’90, a fare una sua legge sull’agricoltura naturale. Oggi noi, Girolomoni e la coop Montebello abbiamo costituito il "Consorzio Marche Bio”. La Terra e il Cielo è stata la prima in Europa a praticare il “prezzo giusto” per remunerare bene gli agricoltori. “Così ci difendiamo dalle speculazioni, assicuriamo la massima qualità e diamo a chi coltiva il giusto guadagno. E i giovani stanno tornando in campagna, rinascono le aziende polifunzionali e possiamo fare ricerca.” La Terra e il Cielo riunisce 106 soci in tutta Italia e produce pasta da grani antichi e da Cappelli, pasta di farro, miglio, legumi, riso, pomodoro, caffè e orzo tostato. Ha i suoi impianti, ma è anche motore dell’economia locale. Un esempio è quello di Samuele Spoletini che a 29 anni si è rimesso a fare il mugnaio ereditando dallo zio l’antica macina a pietra che ha origine alla fine del 500. “Fare il mugnaio è esaltare ciò che la terra produce”, spiega Samuele, “ho un rapporto con La Terra e il Cielo e con tanti piccoli agricoltori basato sulla qualità e la genuinità. La differenza quando si macina davvero a pietra a ritmo lento si percepisce nel sapore e nel valore nutrizionale.” Così nasce ad esempio la pasta fatta da 700 grani; sembra una follia, ma è la nuova frontiera. “Se non cerchiamo nuovi orizzonti”, aggiunge Bruno Sebastianelli, “in agricoltura il reddito non c’è più, non c’è neppure nel biologico che ha costi più alti; il meccanismo del mercato globale ci schiaccia, ecco perché noi vogliamo fare un’ alleanza diretta con il consumatore”. È un patto fondato sulla qualità. È la qualità delle Marche.
ottobre 2021
di Carlo Cambri, foto di Francesca Moscheni