L’idea è stata, a suo tempo, un vero uovo di Colombo: come mettere insieme la grande tradizione italiana e il cibo da passeggio? Soluzione: basta sposare pizza e ricette tipiche. Ad avere l’intuizione Stefano Callegari, il pizzaiolo romano creatore di Trapizzino. Nome che identifica i suoi locali e la sua specialità: un via di mezzo fra pizza e tramezzino, di cui assume la forma triangolare e copia la capacità di ospitare le farciture più diverse. Partita nel 2013 dal quartiere capitolino di Testaccio, la formula di Callegari si è diffusa in Italia e nel mondo. Oggi conta 15 punti vendita: da New York alla recente apertura in Porta Romana, a Milano.
Una ricetta, tante ricette
L’idea, si diceva, è semplice: racchiudere i migliori piatti della cucina italiana popolare in un triangolo di pizza bianca romana, opportunatamente lavorata e sagomata. Quali piatti è presto detto. C’è il pollo alla cacciatora, la ricetta da cui tutto è cominciato. E poi, le polpette al sugo, la parmigiana di melanzane, la lingua in salsa verde. Insieme alla versione con stracciatella e alici del Cantabrico, queste proposte costituiscono lo “zoccolo duro” dell’offerta. Cui si affiancano gli special del giorno: di volta in volta, coda alla vaccinara, trippa alla romana, pecorino e misticanza, burrata e zucchine alla scapece, pollo con peperoni ispirato dalla Sora Lella, icona della ristorazione trasteverina. E così via.
Pronto? C’è il supplì?
Ai trapizzini si aggiungono, e non potevano mancare, i supplì, campioni della romanità a tavola. Al telefono, con la mozzarella filante che forma lunghi fili attorcigliati. Ma anche innovatini: al tortellino, all’amatriciana, ai porri e taleggio, cacio e pepe, al sugo di melanzane. Compresa una new entry pensata e dedicata al nuovo locale meneghino: il supplì di risotto alla milanese con cuore di midollo.
Ripieni casalinghi
L’impasto di farina bianca e lievito madre, molto idratato, rende l’involucro “pizzoso”, morbido dentro e croccante fuori. Pronto per accogliere i ripieni e imbibirsi di sughi e condimenti, trasformandosi in scarpetta da asporto. Come si diceva, le ricette sono per lo più di estrazione casalinga. Raccolte dal cuoco in anni di esperienza professionale, ma anche a seguito di indagini fra mamme, zie, signore famose per questo o quel piatto, scovate e seguite ai fornelli per carpirne i segreti. “Ci impegniamo sempre a fare ricerca, andando a curiosare nelle abitudini e nelle case degli italiani, per scoprire piatti sinceri”, conferma il cuoco.
Il pollo alla cacciatora di Callegari
Così è stato messo a punto il pollo alla cacciatora, ancora oggi best seller di Callegari. Che ci svela la sua ricetta.
Gli ingredienti. Per 4-6 persone (dipende dalla fame!) occorrono un chilo di sovracosce di pollo, se possibile ruspante, comunque allevato a terra. Poi, un mazzetto di rosmarino, 3-4 spicchi d’aglio, mezzo litro di vino bianco secco, 40 ml di aceto bianco, olio extravergine d’oliva, sale e pepe.
La preparazione. Mettete il pollo a pezzi in un tegame con un generoso filo d’olio, sale, pepe e un paio di rametti di rosmarino. Cuocete a fuoco moderato, a tegame semicoperto, per circa un’ora finché la pelle diventa croccante e la carne inizia a staccarsi dagli ossi. Intanto, preparate un “cocktail” aromatico miscelando il vino bianco con l’aceto, l’aglio privato del germoglio e un rametto di rosmarino fresco. Sfumate il pollo versando questo miscuglio nel tegame, lasciate cuocere per altri 5 minuti circa, regolate di sale e il pollo è pronto. “La cosa fondamentale, che garantisce la bontà del piatto, è usare un pollo di qualità”, spiega il cuoco. “Cuoce solo con olio, sale, pepe, rosmarino e la cottura al tegame è a metà fra arrostita e brasata. Al termine, si può decidere se far tirare maggiormente il sughetto, nel caso il pollo sia servito al tavolo, o lasciarlo più lento, deglassando bene il fondo del tegame dove sarà rimasta attaccata la proteina, con tutto il sapore sviluppato dalla reazione di Maillard”.
Varianti in tutta Italia
Come ricorda Callegari, questa ricetta base ha tantissime varianti regionali, quando non proprio familiari. C’è chi fa un soffritto di sedano e carota, chi aggiunge olive e funghi, chi pomodorini e alici. Gli ingredienti che si potevano trovare facilmente fra aia, orto e vigna in Umbria, Toscana e Lazio, le regioni che se ne contendono i natali. Alla cacciatora: perché aglio e rosmarino erano, e sono ancora oggi, gli aromi tipici per la selvaggina. Nel trapizzino: perché il bello della tradizione è che si può sempre interpretare con un pizzico di creatività. Al motto romanesco “Magno, bevo e so’ felice”!
Francesca Romana Mezzadri
Giugno 2021