Champignon è una parola francese che significa
fungo e che, in italiano, viene utilizzata per qualificare il fungo coltivato, che deriva dal prataiolo. I primi esperimenti di coltivazione del fungo risalgono al 1900. Oggi, le tecniche si sono perfezionate tanto che il fungo coltivato è presente in grandi quantità sul mercato.
Versatili in cucina, non molto costosi e disponibili tutto l’anno, sono la tipologia più diffusa tra i funghi coltivati. Possono essere di colore bianco latte (i più diffusi) o marroncino (i cosiddetti “cremini”). In Italia, lo sviluppo della fungicoltura viene fatto risalire agli anni ’50, soprattutto in Veneto, a tutt’oggi la regione dove si concentra il 50% della produzione nazionale di funghi coltivati (circa 60.000 tonnellate), di cui la maggior parte (70%) è destinata al mercato del fresco.
Le
coltivazioni dei champignon sono effettuate in capannoni coibentati dove vengono mantenute condizioni ottimali per la crescita dei funghi (temperatura, umidità e anidride carbonica). Su un sistema di scaffali sovrapposti viene sistemato un substrato (solitamente a base di paglia, opportunamente pastorizzata) sul quale viene seminato il micelio; dopo 15-18 giorni gli champignon sono pronti per la raccolta, necessariamente manuale, per non rovinarli.
Questi funghi si prestano a numerose preparazioni, tuttavia il loro sapore è meno intenso di quello che si percepisce nei funghi spontanei.
Per evitare che la polpa di scurisca dopo il taglio, occorre spruzzarli subito con succo di limone che evita il processo di ossidazione. Gli
champignon, che sono reperibili sul mercato tutto l’anno, si possono consumare crudi in insalata, trifolati, fritti, nei risotti e in salse che accompagnano piatti di carne.
Al super si trovano confezionati in vaschette chiuse da pellicola, interi o già puliti e affettati. Si conservano in frigo per 3-4 giorni a partire dalla data di confezionamento sull’etichetta.