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Federico Fellini: tra un ciak e un altro, cosa mangiava?

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Assaggiare, spizzicare, variare, senza mai veramente fermarsi ad una sola pietanza. Ecco i piatti preferiti dal grande regista riminese

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Ciak, motore, azione… inizia così la lunga pellicola della vita di Federico Fellini, magico, visionario e di buona forchetta, colui che con il cibo ha stretto un rapporto complesso e che ha sempre lasciato il segno nella sua vita come nella sua produzione cinematografica. Terra d’origine la Romagna, nel suo DNA succulenti piatti e belle donne, così come i grandi sogni. Sogni realizzati altrove, la fortuna nella città Eterna, Roma, a cui ha regalato il suo cuore e le sue pellicole migliori. “A tavola con il Fellini”, di cui il nome riporta anche al titolo del libro scritto da sua nipote Francesca, fa pensare all’abbondanza, alle pance piene, ma anche ai suoi modi di fare sempre stravaganti, lui che amante della cucina tradizionale, alla compagnia dei suoi piatti preferiti non rinunciava mai ad un buon bicchiere di Lambrusco. 


Un’Italia autentica, quella riportata dal regista sul grande schermo, le sensazioni suscitate dal cibo, gli odori, i sapori, l’amore per la nostra terra che ha ispirato da sempre poesia. Danzano sentimenti, passione per la vita e le sue sfumature e questo legame indissolubile con i nostri bisogni primari. La sua arte, le sue opere, queste storie divenute capolavori passati alla storia, inimitabili punti fermi a cui aggrapparsi. Tra un assaggio dei saltimbocca alla romana e una saporita scarpetta in un piatto di rigatoni, seguendo un itinerario filmico, passeggiamo con la mente tra le vie di Roma. Una foto alla Fontana di Trevi, l’icona della Dolce Vita, di quell’appassionato bagno di Mastroianni e Anita Ekberg. Ma tra tutte queste leggende culinarie il Buon Fellini cosa degustava? “I tortellini del Maestro”, così vengono ribattezzati, tortellini in brodo serviti con un bicchierino di Whisky, un piatto semplice e gustoso da assaporare nel vecchio ristorante “Cesarina”, divenuto oggi “Al 59”, situato nel cuore pulsante di Roma, il luogo giusto per rivivere la magica atmosfera del cinema italiano, banchettando sullo stesso tavolo dove il regista era solito pranzare. 


Un vero “Gourmet della vita” come lo definisce la sua cara nipote Francesca, Fellini era solito gustare i suoi piatti stile pranzo natalizio, cibi corposi e abbondanti, degni di un grande amata terra, la Romagna: maltagliati con fagioli, spaghetti al tonno, brodetto di pesce, piccione arrosto, praticamente il suo piatto preferito, polpettine di bollito con l’uvetta, fino ad arrivare al dessert, la rinomata zuppa inglese, con quel retrogusto di alchermes, per stuzzicare il suo onirico palato. Ricette sapide, umori generosi di una terra dove il cibo è importante, la gente è simpatica, schietta, estrosa a tratti ruvida ma sempre cordiale con il proprio ospite.


Fellini, infatti, da buon portatore di tradizione non amava quasi mai mangiare da solo: alla sua tavola invitava a sedere sempre letterati, giornalisti, attori, politici e produttori. Non era attratto da piatti elaborati, lui optava sempre per la semplicità: sosteneva che non c’era nulla di più gustoso di una rosetta croccante di forno con dentro una noce di parmigiano, il sacrosanto spuntino che tra un ciak e un altro degustava con così tanto godimento. Viziato e coccolato anche dalle delizie del suo costumista Danilo Donati, nonché suo chef personale per via del suo estro magico, i suoi peccati di gola non cessavano mai. La cultura culinaria felliniana, così possiamo definirla, una propensione ad assaggiare, spizzicare, variare, senza mai veramente fermarsi a una sola pietanza. Federico Fellini è sempre stato più incline alla scoperta dei sapori, alla creatività più che alla sazietà del proprio stomaco.


Di Elena Strappa

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