Era il lontano 1935 quando Zafferano 3 Cuochi creò la prima bustina di zafferano in polvere così come la conosciamo oggi, o quasi. E sono così 85 le candeline che spegne il 12 giugno il prodotto dell'azienda fondata da Gianni Mangini nel 1933.
Se oggi aprire la bustina di zafferano per cucinare, per esempio, il classico risotto alla milanese, sembra un gesto del tutto normale, all'inizio del secolo scorso era un'operazione tutt'altro che scontata.
Allora infatti lo zafferano era un ricercato prodotto da drogheria: si vendeva sfuso, con tanto di bilancino farmaceutico, dal momento che si è sempre trattato di un articolo piuttosto esclusivo (attualmente per ottenere 1 Kg di zafferano essiccato servono 150.000 fiori e 500 ore di lavoro).
A inizio '900 erano diverse le aziende che lavoravano lo zafferano, da secoli utilizzato come colorante, nella cosmesi e in medicina, prima ancora che in cucina.
Ma la grande intuizione di Mangini fu quella di concentrarsi sull’uso alimentare, confezionando uno zafferano di alta qualità in bustine già dosate e pronte all'uso. Prodotto di lusso, sì, certamente, ma anche pratico. Sin dall'inizio.
Le primissime bustine erano sobrie, riportavano solo il nome dell’imprenditore e quello del droghiere che lo vendeva al dettaglio. L'innovazione del 1935 fu proprio quella di caratterizzarle con il marchio illustrato che conosciamo oggi: grazie al contributo di un pittore inglese, viene studiata l’immagine con i caratteristici 3 cuochi, evidentemente provenienti da tre diversi angoli del mondo, per porgere tre piatti con tanto di cloche che lasciano intuire straordinarie prelibatezze.
Rovistando tra le carte del '900 emerge che a regolamentare la materia era un Regio decreto del 1936, che identificava come zafferano solo la parte apicale dello stilo, quella con gli stimmi del Crocus Sativus Linnaeus.
L'importanze dell'etichetta emergeva già allora: nelle confezioni infatti era riportata la dicitura “garantito puro” a sottolineare l’elevata qualità.
La qualità ha fatto da filo conduttore anche negli anni bui della Grande Guerra.
Le più estese coltivazioni di zafferano in Italia all'epoca erano in Centro Italia, in particolare nella provincia dell'Aquila.
Quando l’Italia settentrionale si trovò separata da quella meridionale e i contatti con L’Aquila furono interrotti a causa della guerra, Mangini decise di sospendere temporaneamente l’attività, per non trovarsi a offrire un prodotto inadeguato rispetto ai soliti standard.
E dopo la Guerra, la rinascita e anche lo sbocciare della creatività. È il periodo in cui le aziende italiane più volenterose danno il meglio di sè, realizzando confezioni e prodotti originali, che ora sono quasi oggetti di culto.
Dal contenitore in legno per le bustine di zafferano a forma di camioncino del 1948, giocattolo amatissimo dai bambini, alle scatole in metallo esposte nelle drogherie del 1957, dalle cassette di legno come piccolo accessorio d'arredo dove riporre piccoli oggetti del 1958, ai primi cartelloni pubblicitari innovativi degli anni 60 e 70. Sono tutti articoli che oggi mandano in visibilio i collezionisti.
Al fascino che emana il marchio storico, nel tempo si sono affiancate le certezze e la sicurezza di innovazione e ricerca, che hanno consentito nel tempo di realizzare miscele di qualità elevata e costante nel tempo.
Con tutta la cura, il lavoro e l'attenzione che si devono ai fiori si arriva alla formulazione attuale: con 20 fiori di zafferano e 60 pistilli si ottengono 0,15 g di Zafferano 3 Cuochi, sapientemente riposti nella bustina singola e prima ancora in uno speciale pergamino che permette di far scivolare senza sprechi lo zafferano e quindi cucinare risotti, lasagne, pani aromatici, insolite creme dolci...
Barbara Roncarolo
maggio 2020