Avete mai visto un Carnevale senza frittelle? Impossibile, come un Natale senza panettone. Eppure si può fare, basta mettere le mani in pasta invece che nella pastella, rispolverando la ricetta di un antico dolce toscano: il berlingozzo, di cui parlano i cronisti del '400 dicendo che si consumava proprio il giovedì grasso, giorno chiamato berlingaccio, nome a sua volta anche di una maschera carnevalesca.
Il dolce è un semplice ciambellone con ingredienti comuni (uova, farina, zucchero), ma ha quel tocco di toscanità (Vin Santo e olio extravergine d'oliva) che lo localizza. Tanto da provocare campanilismi: così da Firenze a Prato o in altre zone limitrofe, per arrivare sino a Pitigliano, in Umbria, dove al ciambellone è dedicata da 40 anni una sagra estiva, la ricetta cambia un pochino, quel tanto che fa dire a ciascuno che la propria è la migliore. E quelli di Lamporecchio, in provincia di Pistoia ben lo sanno, perché rivendicano la loro come la ricetta madre.
Il ciambellone ha origini antiche, lo citano alcuni poeti cinquecenteschi e le testimonianze scritte lo collocano sulla tavola di Cosimo I de' Medici, che lo gustava come antipasto. Sempre i cronisti dell’epoca raccontano come i popolani si appendessero al collo la ciambella durante il Carnevale, tanto per burlare o meglio per berlingare.
L’origine del berlingozzo è strettamente legato al nome del giovedì grasso o berlingaccio che, a sua volta, può derivare da berlenghum, una parola del tardo latino che indicava la tavola come mensa, da cui per analogia "berlingare", ossia ciarlare a mensa dopo aver bevuto e mangiato, "berlingatore", cioè un mangione ciarliero, e "berlingaccio", la maschera che lo rappresenta: una persona grossa e rossa, o meglio, paonazza. Da antipasto di corte a dolce popolare, chissà come e perché... Certo è che durante il Carnevale, con i dovuti travestimenti, il popolo prendeva in giro i potenti, in più i toscani sono burloni e un po’ bastian contrari: quindi niente frittelle ma ciambelle.
Il berlingozzo oggi è un dolce in parte dimenticato, resiste in misura sempre minore in alcune pasticcerie locali, eppure la sua semplicità lo rende goloso: una volta cotto, ancora tiepido, viene infatti irrorato con uno sciroppo a base di succo d’arancia e zucchero e poi completato con zucchero in granella o confettini, ma nulla vieta di personalizzarlo con una buona colata di cioccolato sciolto.
D’altra parte è Carnevale e "berlingare" fa bene all’anima, anzi potrei coniare il termine "berlingozzare", dicendo che fa ancora più bene. Lo sapeva anche Lorenzo de Medici che nei Canti carnascialeschi dedica una Canzone ai fornai dove si dice:
«Donne, noi siam giovani fornai, de l’arte nostra buon’ maestri assai: Noi facciam berlingozzi, e zuccherini».
editoriale di Laura Maragliano,
su Sale&Pepe di febbraio 2020