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Fiamma viva: quando è meglio (anzi imprescindibile)

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Ci sono piatti che richiedono una cottura a fiamma alta: ecco quali sono e soprattutto perché.

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Stufare, cuocere a vapore, a bagnomaria, lessare e cuocere a fuoco vivo: ogni tipo di cottura e ogni temperatura ha il suo impiego ottimale. Verdure, crostacei, salse, sughi, pesce, creme e arrosti. Conoscere la tecnica di cottura e le temperature ideali per tutti questi cibi significa già difendersi bene tra i fornelli.


Il segreto in una reazione
Pensate a una torta appena sfornata, a un brasato con la crosticina imbrunita o a una pagnotta calda. Tutte ricette che necessitano di un fuoco molto alto che mette in moto la reazione di Maillard. Insomma se cuocendo un cibo questo si “imbrunisce” c’è lo zampino di questa reazione che avviene ad alte temperature, tra i 140°C e i 180 °C, tra gli amminoacidi delle proteine (i mattoncini che costituiscono le proteine) e gli zuccheri, formando centinaia di piccole molecole odorose, autrici di molte delizie culinarie. Perché la reazione avvenga però, la superficie la padella deve essere sufficientemente calda e la fiamma vivissima.


162013Quando il fuoco lento non è raccomandabile
“E mi raccomando, fai cuocere a fiamma bassa bassa bassa”: questa è la raccomandazione ricorrente in fatto di ricette, perché per la maggior parte delle pietanze, dei sughetti, delle salsette e quant’altro chiede una fiamma appena tiepida, giusto per cuocere, ma lentamente e gradualmente, evitando di bruciare e favorendo il consumo costante e inesorabile degli alimenti.


Ci sono però piatti o circostanze che chiedono una fiamma poderosa, quasi prepotente, ed è bene sapere quali sono questi casi. Dunque se è vero che generalmente la cottura s’ha da fare piano piano è anche vero che, per esempio, in un arrosto inizialmente la fiamma deve essere bella alta, per ottenere la crosticina in oggetto, croce e delizia di ogni arrosto che si rispetti che viene così sigillato e isolato, mantenendo nel suo cuore la morbidezza.


Questione di temperatura
L'alta temperatura e la rapidità di cottura, permettono infatti di avviare la reazione di Maillard, che pochissimo conoscono e sanno descrivere, ma che tutti sfruttiamo ignari nelle nostre cucine, spesso del tutto inconsapevolmente.


La reazione di Maillard è complessa, tanto che i chimici ancora non l’hanno messa a fuoco fino in fondo, e sostanzialmente consiste nel fatto che gli zuccheri e le proteine si legano tra loro, grazie all’energia fornita dal calore. E’ quindi fondamentale che siano presenti entrambi.


162011Condizione necessaria, ma non sufficiente
Nel caso dei vegetali questa condizione si verifica sempre, mentre per la carne non tutte le tipologie contengono gli zuccheri necessari a innescare la reazione. La carne di manzo per esempio ne contiene a sufficienza, mentre altri tipi di carne ne sono più povere e quindi a volte si aggiungono direttamente oppure talvolta la carne viene messa a marinare con il limone, con il vino o con il miele, tutti alimenti ricchi di zuccheri.


E’ bene sapere invece che nel bollito la reazione non avviene, poiché se l’acqua si infila tra le proteine e gli zuccheri, questi non riescono a legarsi, diversamente dall’olio che si infiltra meno (e infatti nel fritto, la Maillard avviene). Infine non tutti gli zuccheri reagiscono con gli aminoacidi, bensì solo gli zuccheri che i chimici chiamano “riducenti” (una sostanza riducente è l’opposto chimico di una sostanza ossidante).


Chi era Louis-Camille Maillard?
Louis-Camille Maillard non era un cuoco e neppure chimico. Era semplicemente un medico interessato al metabolismo cellulare, e studiò a lungo come gli aminoacidi possono reagire con gli zuccheri presenti nelle cellule. Tutto ebbe inizio da lì. Il resto è cronaca.


Emanuela Di Pasqua,
giugno 2018



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