Lambrusco: basta la parola per identificare un vino frizzante, fresco e leggero, dalla spuma rosata e vivace, dai profumi intensi che ricordano i frutti rossi. L’accompagnamento ideale per i salumi tipici della sua terra (l’Emilia), per le paste ripiene e per lo gnocco fritto, ma anche il vino più acquistato dagli italiani, che nel 2016 ne hanno messi nel carrello ben13 milioni di litri pagandolo in media 2,68 euro a bottiglia. Insomma, un vino “facile”, popolare e che piace a tutti (tanto da essere apprezzato in tutto il mondo), tranne agli snob che lo considerano poco più di una bibita all'uva addizionata di anidride carbonica. Eppure, come spesso accade, le cose più semplici nascondono in realtà una grande complessità. E il Lambrusco ne è la prova.
Frizzante, ma non spumante
Il Lambrusco è un vino frizzante che possiamo considerare un parente giovane degli spumanti. Infatti entrambi contengono anidride carbonica, ma nel Lambrusco la pressione massima è di 2,5 atmosfere, contro le oltre 3 atmosfere minime degli spumanti. Le bollicine si possono formare in modo naturale, grazie ai metodi ancestrale, Champenoise o Charmat. Ovviamente, da queste tecniche produttive si ottengono vini che possono essere molto differenti. I migliori sono considerati quelli frizzanti naturali, che hanno bisogno delle uve giuste poiché non tutte sono adatte alla rifermentazione: devono essere raccolte in anticipo così da ottenere il 10-12% di gradazione alcolica e devono avere un’acidità superiore ai 6 grammi per litro. Ma questo è solo l’inizio, perché questo vino non è ancora Lambrusco ma solo la base per diventarlo.
Come si ottiene la spuma
Per ottenere la spuma del Lambrusco si è sempre ricorsi a una seconda fermentazione, favorita dalle condizioni climatiche della Pianura Padana (e dell’Emilia, in particolare, in cui il Lambrusco è tipico). Sfruttando la forte escursione termica invernale i produttori interrompono la fermentazione, con cui nel mosto dolce si formano le bollicine, per poi farla riprendere in primavera, a vino imbottigliato. Una volta che la bottiglia veniva stappata compariva la spuma. Da qualche anno la pratica della rifermentazione in bottiglia è stata riscoperta ed è oggi in voga tra le cantine. Altri produttori, anch’essi impegnati nel movimento di valorizzazione del Lambrusco applicano invece una sola fermentazione: il mosto viene leggermente pressato e filtrato, per eliminare lieviti e batteri, e mantenerne la dolcezza. Poi viene tenuto in autoclave, ossia in grandi recipienti di acciaio sotto azoto, in cui sono introdotti lieviti naturali selezionati che, combinandosi con gli zuccheri e i sali minerali, provocano la fermentazione alcolica. Dopo due mesi il mosto passa in un'altra autoclave dove viene filtrato e raffreddato per stabilizzarlo e far cader su fondo i cristalli (così diventa limpido). Dopo un’altra filtrazione lo si aggiunge al vino in fase di imbottigliamento. Così i tempi di lavorazione si allungano ma la lenta fermentazione permette di ottenere un vino più acido e fresco, con una maggiore effervescenza e che può reggere meglio il passare del tempo. Non è cosa da poco perché il Lambrusco è un vino esile e fragile, che non dura a lungo e che richiede molta attenzione nel trasporto. Eppure, nonostante questo, è diventato il vino frizzante italiano più venduto al mondo.
Un vino delicato (in tutti i sensi)
Anche l'imbottigliamento del Lambrusco è una fase da seguire con cura perché si corre il rischio di disperdere l'anidride carbonica ottenuta in autoclave. E poi, siccome le bollicine “spingono”, servono contenitori capaci di sopportare queste altre pressioni senza rompersi. Ecco spiegato perché le bottiglie del Lambrusco sono più spesse di quelle dei vini fermi, perché non hanno spigoli vivi sul fondo e perché sono chiuse con tappo di sughero e gabbietta, che garantiscono una maggior resistenza.
Le 4 versioni Dop
Lambrusco è sinonimo di Emilia, visto che i suoi vigneti occupano un vasto territorio che parte dalle colline del Po e si estende attraverso le province di Modena, Parma e Reggio Emilia, dando origine a quattro denominazioni Dop: Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, Lambrusco Sorbara, Lambrusco Salamino di Santa Croce e Lambrusco Reggiano. Ciascuno ha il suo carattere e i suoi abbinamenti consigliati. Il Lambrusco di Sorbara è il più chiaro (ha colore rosso rubino) e quello dall’inconfondibile profumo di violetta, ed è il migliore con i salumi e il gnocco fritto. Invece il Lambrusco Salamino di Santa Croce, col suo colore rosso carico, la spuma dai contorni violacei e il sapore che ricorda la frutta matura, è più adatto ai piatti di pasta al ragù e agli arrosti di carni bianche o suine. Il Lambrusco Grasparossa, col colore carico e i riflessi violacei, il profumo spiccato di uva e il sapore fruttato, dal retrogusto amarognolo, si sposa con la pasta al forno, gli arrosti di carne bovine e i formaggi di carattere. Ma, nella versione amabile, si rivela un inaspettato aperitivo e si sposa anche con la pasticceria secca. Infine, c’è il Lambrusco Reggiano che si accompagna con gli affettati, le torte di verdura (come l’erbazzone), e i bolliti.
Manuela Soressi
gennaio 2018