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Salumi più sani con meno sale, grassi e additivi

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Negli ultimi anni i nostri salumi sono diventati meno salati e grassi. Due piccole porzioni a settimana ce le possiamo concedere senza troppi sensi di colpa

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Buone notizie per gli amanti dei salumi italiani. Negli ultimi decenni sono diventati più magri, meno calorici e più poveri di sale e additivi, in particolare quelli tutelati dalle denominazioni Dop e Igp (circa 40). Non solo. Il miglioramento nutrizionale è costante, grazie alla selezione genetica dei suini, alla loro alimentazione mirata e ai nuovi metodi di lavorazione e conservazione delle carni.

La conferma di questo trend virtuoso arriva da uno studio del CREA, il Centro di Ricerca governativo per gli alimenti e la nutrizione, in collaborazione con SSICA, la Stazione Sperimentale per l’industria delle conserve alimentari. I ricercatori hanno analizzato i profili nutrizionali di alcuni salumi italiani, tutelati e non, che non erano stati aggiornati dal 1993. Cioè i macronutrienti (acqua, proteine, lipidi, carboidrati ed energia), alcuni minerali e vitamine (gruppo B ed E), acidi grassi e colesterolo, aminoacidi liberi e additivi (cloruro di sodio, nitriti, nitrati).

Già dai primi esami (2011) era risultato un netto miglioramento nella composizione degli affettati. La buona notizia è che anche il secondo aggiornamento, presentato lo scorso aprile dall’Istituto Salumi Italiani Tutelati (ISIT), va nella stessa direzione. Meno grassi, sale e additivi nei 6 salumi analizzati, tutti Dop: tre piacentini (coppa, pancetta e salame), due salami (Brianza e di Varzi) e il prosciutto toscano.

Partiamo dal sale che, come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, va assunto con moderazione per non mettere a rischio cuore, circolazione e reni (meno di 5 g al giorno la quantità consigliata). Nei salumi è indispensabile per la conservazione ma oggi, grazie al controllo dei periodi di asciugatura e stagionatura e alle spezie selezionate, se ne utilizza molto meno rispetto a 25 anni fa: per alcuni affettati la percentuale è scesa addirittura del 45%. Un esempio? La pancetta piacentina contiene 3,5 g di sale ogni 100 g, i salami Brianza e di Varzi 3,7g/100g, il prosciutto toscano 4,7g/100g: rispettando la porzione di 50 g raccomandata dai nutrizionisti, la quantità è pari o inferiore a quella di molte salse e sughi pronti, e spesso anche della pizza.

In calo anche gli additivi, usati come conservanti ma anche per mantenere aroma e gusto dei salumi. I nitriti sono assenti e i nitrati al di sotto dei limiti di legge o irrilevanti, pur senza compromettere le caratteristiche organolettiche di salami, pancette e prosciutti.

Infine i grassi, forse i più demonizzati. Certo il contenuto è ancora alto, benché ridotto negli ultimi anni: per esempio i salami ne contengono circa il 30% e la pancetta piacentina il 51%. Ma anche in questo campo sono stati fatti passi avanti: i grassi saturi sono diminuiti ed è migliorato l’equilibrio con quelli insaturi.

Dunque, anche se con moderazione (2 porzioni a settimana di circa 50 g), i salumi possono far parte della nostra dieta: per noi italiani, che ne vantiamo di sopraffini, è una consolazione. Anche perché gli affettati sono un’ottima fonte di proteine, di vitamine (soprattutto quelle del gruppo B) e di sali minerali (ferro, zinco, selenio e potassio). Per esempio una porzione di 50 g di prosciutto toscano Dop copre circa il 30% del fabbisogno giornaliero di vitamina B1 e B6; mentre con una di coppa piacentina Dop si arriva al 68% della dose quotidiana raccomandata di zinco.


Marina Cella
Giugno 2017

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