Farina bianca e uova.... tante uova. L’antica sapienza contadina delle Langhe, ed è qui che hanno avuto i natali i tajarin, ha saputo trasformare la pasta casalinga tipica di tante regioni, in una specialità ricca di sapore e di colore, proprio arricchendo l’impasto di tuorli d’uovo.
Si può aggiungere un filo di olio, ma mai acqua, occorrono poi braccia robuste per lavorare la pasta e tirarla in una sfoglia sottilissima con esperti movimenti di “pressia”, un lungo e robusto matterello, e un abile lavoro di mani e di coltello (una volta si utilizzava la “cotela”, dalla lama sottile e affilata, ricavata per lo più dalle falci da fieno) per arrotolarla senza farla attaccare e tagliarla poi a fettine strette, il più possibile regolari. Un esercizio di precisione e di velocità che ancora oggi cuochi ed esperte casalinghe praticano senza mai alzare il coltello dalla spianatoia.
Pasta in festa
Considerati da sempre il classico piatto della domenica, nelle famiglie langarole legate alla tradizione, i tajarin sono ancora oggi simbolo di festa, protagonisti indiscussi della tavola natalizia. Anche per la ricchezza e la sapidità dei condimenti.
Certo, molti prediligono il semplice burro fuso e formaggio, ricorrendo magari a qualche lamella di tartufo bianco d’Alba per renderli sopraffini. È in questa versione che hanno fatto il giro del mondo e sono approdati negli Stati Uniti con il nome di “tagliatelle con tartufi bianchi” conquistando i palati dei gourmand di New York; e non a caso, sempre con questo nome, sono l’unico piatto piemontese inserito nella guida “Grandi piatti del Mondo” di Robert Carrier.
Ma per i più fedeli alla tradizione locale il condimento d’elezione è un sugo a base di fegatini, che, se fatto alla maniera antica, richiede un paio d’ore di lavoro: si chiama “comodino” e si prepara mettendo in pentola olio, burro, lardo, un trito di sedano, carota, cipolla e aglio, prezzemolo, salvia e rosmarino; il tutto va bagnato più volte con piccole aggiunte di vino rosso prima di unire le regaglie di pollo e coniglio a disposizione: i fegatini, le creste, i rognoncini, i cuoricini.
Nelle occasioni importanti, comunque, oggi si privilegia un sugo di carne, che offre il doppio vantaggio di portare in tavola dopo un ghiotto primo piatto anche un’eccellente pietanza.
La parola dell’esperta
Risponde alle nostre curiosità Laura Casorzo, maestra di cucina dell’AICI, l’associazione delle insegnanti di cucina italiana. La anima una grande passione per l’arte culinaria che completa l’attività principale di biologa specializzata in genetica medica presso l’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico di Candiolo-Torino.
Anche oggi i tajarin si preparano con molti tuorli? “I puristi della cucina langarola utilizzano fino a 30-40 tuorli, per ogni chilo di farina, ma le variabili sono tante e possono dipendere dal tipo di farina e dalla sua capacità di assorbimento”.
Qual è la fase più delicata della preparazione? “Il momento di stendere la sfoglia, che deve essere molto sottile. Ho avuto modo di constatarlo durante un mio corso di cucina che aveva per tema questo piatto. Le difficoltà più vistose erano proprio nella stesura a mano della sfoglia con il mattarello e nel taglio al coltello dei tagliolini”. Quali sono i suoi suggerimenti? “È importante imparare a capire quando la sfoglia è sottile al punto giusto e a ‘sentire’ al tatto quando è al grado di asciugatura idoneo al taglio, quindi provare fino ad acquisire la manualità a produrli tutti delle stesse dimensioni”.
Bere giusto
La sostanza dei tajarin è nell’adeguato rapporto tra le uova e la farina, ne scaturisce una sensazione densa che diventa a mano a mano sempre più profonda con l’intervento del sugo d’arrosto; il suadente ed energico Nebbiolo delle Langhe della famiglia Viberti, i cui vigneti sono nelle Rocche di Castiglione Falletto, gratifica la tensione viva della pasta e, a ogni boccone, le restituisce intatto il ricordo della carne.
Miriam Ferrari
foto di Michele Tabozzi
scelta del vino di Sandro Sangiorgi