C’è un filo che collega i vigneti del Veneto a quelli della Sicilia, quelli della Basilicata a quelli della Tuscia. E che, a dispetto della distanza, rende più vicini di quanto si pensi, i vini prodotti attorno a Padova o a Grosseto a quelli realizzati vicino a Catania o sull’isola di Ischia. È il loro carattere “vulcanico”, ossia il fatto che provengono da terreni segnati dalla presenza di un vulcano. Una presenza “ingombrante”, che si fa sentire sui vini, perlopiù bianchi, a cui regala caratteri unici e non riproducibili in altri luoghi: in bocca prima acidi, poi salini, questi vini sono straordinariamente freschi e piacevoli, sfumati eppure equilibrati, e reggono bene l’invecchiamento. Sempre più amati (e considerati tra i più trendy del momento) i vini vulcanici sono diventati una vera e propria categoria dell’universo del bere, e sono valorizzati dall’associazione Volcanic Wines, che raggruppa i tanti inaspettati territori vitivinicoli italiani caratterizzati da suolo vulcanico, dove nascono vini Doc e Docg, come il Soave, il Lacryma Christi o l’Orvieto. In cifre sono oltre 17mila ettari da cui arrivano 150 milioni di bottiglie di vini vulcanici.
Etna
Le pendici del vulcano che domina la pianura catanese sono sempre più tappezzate di viti. In una ventina di anni, infatti, i viticoltori si sono moltiplicati e oggi sono oltre un centinaio. Sono perlopiù aziende a conduzione familiare anche se negli ultimi tempi sono arrivati anche i grandi nomi del vino italiano (come Donnafugata che sta iniziando ora la sua prima vendemmia) e numerosi stranieri che comprano intere porzioni di vigna alle pendici dell’Etna per coltivare e trasformare le uve che crescono su questa terra nera di lava e cenere, piantando vitigni autoctoni (come il Nerello mascalese rosso e il Carricante bianco) da 400 e fino a mille metri di altitudine, e sfidando una natura tutt’altro che benigna. È una viticoltura “eroica”, che sta entusiasmando soprattutto gli stranieri. Il New York Times gli ha dedicato un ampio réportage in cui ha definito l’espansione della viticoltura etnea come “il simbolo della rinascita della Sicilia come regione vinicola emozionante”.
Colli Euganei
Se parlando di Sicilia il pensiero va subito all’Etna, per i Colli Euganei il collegamento non è così immediato. Eppure questa zona il cui paesaggio è plasmato da oltre 100 morbide colline si è formata grazie a una serie di manifestazioni vulcaniche avvenute 35 milioni di anni fa, che hanno lasciato in eredità un terreno costituito da marne e tufi basaltici. Non solo: l’unico vino Docg di questa terra, il Fior d’Arancio, si ottiene dall’omonimo vitigno originario del Medio Oriente e arrivato in Veneto grazie alla rete dei commerci e degli scambi che partivano dai porti della Sicilia.
Nei Colli Euganei nascono vini già amati dai Romani e che nel Rinascimento venivano considerati unici in quanto espressione di un terroir unico: un suolo ricco di sorgenti calde e solforose, un’aria densa di vapori di acqua calda, un’insolazione ideale. Ma quel vino dei Colli Euganei è ben diverso da quello che beviamo oggi, perché a inizio ‘700, un inverno particolarmente freddo distrusse gli antichi vigneti, che vennero rimpiazzati con vitigni più resistenti e produttivi, importati da Francia, Germania e Austria.
Una sperimentazione che permise di individuare le varietà più adatte a questa terra. E così Cabernet, Gamay, Pinot, Riesling (in particolare l’Italico) e Sauvignon sono diventati i portabandiera dei vini vulcanici dei Colli Euganei, e hanno raccolto nel tempo premi su premi. Vendemmia e lavorazione in cantina si possono scoprire da vicino: basta seguire la Strada del vino Colli Euganei, che porta tra i vigneti e gli uliveti con tappe in aziende vinicole, o partecipare a una delle passeggiate che organizza, in cui una guida naturalistica racconta questa terra nel momento in cui si compie la raccolta delle uve e delle olive.
Manuela Soressi
settembre 2016