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Diplomazia, la politica internazionale passa dalla cucina

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Nelle università americane gli studenti vanno a scuola di cucina per imparare storia, diplomazia e politica

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Mappamondo cucina

Cibo è passione, tradizione, tecnica. Ma è anche, e soprattutto, cultura e per questo può diventare un raffinato strumento diplomatico: a crederci è la politologa Johanna Mendelson Forman dell’American University di Washington, studiosa di conflitti internazionali, che ha istituito un nuovo corso di gastrodiplomazia nell’ateneo statunitense: solo 19 posti, presi d’assalto dagli studenti più curiosi… e golosi.

Naturalmente l’aspetto più avvincente delle lezioni sono le “incursioni” nei ristoranti etnici della capitale, dove gli studenti assaggiano nuovi cibi e parlano con i patron dei locali sulla cultura (gastronomica e non solo) del loro paese. Per scoprire insospettabili intrecci tra la cucina, la pace e la guerra. Ad esempio, durante il pranzo al ristorante Das Ethiopian Cuisine di Georgetown gli universitari americani hanno sperimentato l’influenza della cucina italiana su quella etiope dopo la colonizzazione degli anni Trenta.

In realtà la Mendelson Forman fa tesoro di una lezione senza tempo: già gli antichi romani sfruttavano l’importanza strategica del buon cibo e siglavano sempre la pace con il nemico davanti a una tavola riccamente imbandita. Che l’obiettivo (encomiabile) della politologa sia quello di cambiare la teoria di Carl von Clausewitz: la cucina (e non la guerra, come sosteneva lo stratega prussiano) non è che la continuazione della politica con altri mezzi?

di Enza Dalessandri

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