I numeri sono impietosi e raccontano una vera e propria caduta verticale della produzione di agrumi italiani: nel giro di quindici anni, nel nostro Paese è sparito il 31% delle piante di arancia, il 50% di quelle di limone e il 18% di quelle di clementina e mandarino. L’allarme è stato lanciato dalla Coldiretti a Catania nell’ambito della mobilitazione per difendere l’agricoltura Made in Italy che rischia di perdere alcuni dei suoi prodotti simbolo.
A partire dal 2000, sottolinea l’associazione dei coltivatori (che ha elaborato i dati Istat), gli ettari coltivati ad agrumeto sono scesi da 184.000 a 124.000 e il fenomeno non sembra arrestarsi. Sotto accusa, sottolinea la Coldiretti, ci sono i prezzi pagati agli agricoltori che non riescono neanche a coprire i costi di raccolta; si tratta di cifre che rimangono troppo basse a causa della concorrenza sleale dei prodotti importati dall’estero, in una situazione di dumping economico, sociale e ambientale.
Il disboscamento delle campagne italiane non dipende dunque dalla scarsa qualità del prodotto, ma da quella che la Coldiretti definisce una vera invasione di frutta straniera: le importazioni di agrumi freschi e secchi, negli ultimi 15 anni, sono praticamente raddoppiate, fino a raggiungere nel 2015 il massimo storico di 480 milioni di chilogrammi. Oltre a questo, bisogna prendere in considerazione anche le importazioni di succhi di agrumi dall’estero, che arrivano spesso in Italia da Paesi extracomunitari attraverso triangolazioni.
L’aumento delle importazioni non ha però favorito la crescita dei consumi, che, anzi, sono scesi di oltre il 20% per le arance e del 50% per i mandarini; soltanto le clementine sembrano in leggera crescita. “Un trend drammatico che ha effetti pesanti sul piano economico e occupazionale per le imprese agricole, ma anche dal punto di vista ambientale e per la salute dei consumatori” sostiene il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. Il quale sottolinea che “occorre intervenire con misure di trasparenza per promuovere i consumi sul mercato interno e favorire le esportazioni”. In tale quadro, sempre secondo Moncalvo, è fondamentale “rendere obbligatoria in etichetta l’indicazione di provenienza della frutta utilizzata nelle bevande e fermare la vendita in Italia delle aranciate senza arancia. A distanza di un anno e mezzo dall’approvazione da parte del Parlamento italiano della legge che aumenta la quantità minima di succo nelle bibite a base d’arancia dal 12% al 20% non è stato ancora emanato il decreto applicativo. Queste scelte, peraltro, sono state fatte volontariamente da alcune imprese del settore che utilizzano solo arance 100% italiane o hanno innalzato il contenuto di succo al 20%”.
Alessandro Gnocchi
14 marzo 2016