Il menù? Un rompicapo senza uscita. E ci mancava mio fratello Giuseppe, che ha deciso di diventare vegano.
Croce delizia di ogni 25 dicembre che si rispetti, il pranzo di Natale è di solito a dir poco impegnativo per chi ha onore e onere di ospitarlo. Ma avete mai ripensato ai pranzi di Natale degli anni '70? Forse dovreste farlo: tirereste un sospiro di sollievo.
Le padrone di casa negli anni '70 erano divelte tra la Tradizione, con annesso galateo senza sgarri, e il Nuovo, che imponeva fantasia e trovate originali.
Con risultati spesso ibridi che al giorno d'oggi potremmo definire “trash”, un'elaborazione tendente al cafonesco che in Italia andava a braccetto con l'opulenza a tavola imposta dal riscatto del Dopoguerra.
Partiamo da un piatto emblematico: l'indimenticabile tacchino, tacchinella, pollo o faraona che fosse, sventrato per essere farcito con quanta ricchezza possibile (tartufi a piovere – costavano di meno e non erano ancora stati scoperti dagli americani).Ma soprattutto, l'animale era umiliato post-mortem da vestizioni imbarazzanti, a partire dalle classiche “scarpette” per le zampe, per arrivare a un “must” della cucina dell'epoca: la crosta. In crosta si metteva di tutto, persino il cotechino. Perché altro fil rouge era: completa disattenzione ai grassi. E quindi panne, burri, maionesi e intingoli a go go.
Un esempio? Un pezzo forte di mia nonna era la “Spuma d'aragosta”, una deliziosa mousse salata che nasceva come intramezzo – ma veniva poi spesso servita nella sfilza di antipasti che l'etichetta dell'epoca imponeva.
Era fatta a freddo, un blocco di panna contenente pezzettini del crostaceo, sformata ovviamente in uno stampo a forma d'aragosta. Altra tipicità dei tempi: sminuzzare o comunque rendere irriconoscibili i cadaveri d'animali, per poi riesumarli in uno stampo in cui rappresentano se stessi.
Grande alleata in tutto ciò era la gelatina: i famosi aspic erano protagonisti, con ogni bendidio dentro. E poi i flan, magari ad anello e impinguati con una “finanziera” al centro, magari irrorati di salsa pannosa e magari serviti come contorno a un arrosto! A proposito di bendidio: gran moda dell'epoca erano i cosidetti “Trofei” .
Per esempio quello di frutta: una sorta di catasta di frutta con strati uno sull'altro, perfino fiori, e poi zucchero caramellato e panna colati sopra. Ma il Trofeo poteva essere anche un vitel tonné montato in torre e potenziato, piuttosto che di pesce&crostacei.
Sempre con il concetto di arricchimento delle materie prime – ottenuto sostanzialmente grazie ai grassi. Non esistevano le patate, ma l'elaborazione delle patate, come le famose Daufine. Un arricchimento fine a se stesso, in totale contrasto col contemporaneo anelare al ritorno alla purezza degli ingredienti.
Carola Traverso Saibante