L’olio di palma, diffusissimo nei cibi confezionati (biscotti, merendine e prodotti da forno, pane, cracker e grissini, snack dolci e salati, gelati, patatine fritte, creme spalmabili, salse e condimenti, piatti pronti, miscele per frittura e altro), da tempo è controverso per l’impatto sull’ambiente delle sue piantagioni e le accuse di far male alla salute.
Ma è negli ultimi mesi, da quando è obbligatorio indicarlo chiaramente in etichetta, che l’olio di palma è entrato nell’occhio del ciclone. La rivista online Il Fatto Alimentare ha lanciato su Change.org una petizione per limitarne l’uso (clicca qui), che ha raccolto 150mila firme. Alcune aziende (Misura, Gentilini) l’hanno eliminato dai loro prodotti mentre varie catene della grande distribuzione hanno annunciato di volerlo ridurre progressivamente. E si è quasi sfiorato l’incidente diplomatico con la Francia quando il ministro dell’Ambiente Segolène Royal ha invitato in televisione a boicottare la Nutella, responsabile di distruggere le foreste per il suo contenuto di olio di palma; peraltro scusandosi subito dopo.
D’altra parte c’è chi lo difende. Le aziende naturalmente, a partire da Aidepi (Associazione delle Industrie del Dolce e delle Pasta Italiane) che ha lanciato la campagna: L’olio di palma: un ingrediente da conoscere, non da demonizzare (con opuscolo scaricabile su). Ma anche vari nutrizionisti ed esperti, che invitano alla moderazione.
Vediamo di capire come stanno le cose.
Perché l’industria fa largo uso dell’olio di palma?
In primo luogo perché è molto economico: rispetto ad altri grassi vegetali di uso simile (girasole, soia e colza), la palma da olio è quella che ha la resa nettamente più alta.
Inoltre, offre vantaggi per la lavorazione. Essendo un grasso saturo solido a temperatura ambiente come il burro, dà consistenza e fragranza ai prodotti, aumenta la durata perché non irrancidisce, sopporta le alte temperature, è inodore e insapore.
Perché l’olio di palma è dannoso per l’ambiente?
È indubbio che, per far posto alle coltivazioni della palma da olio, negli ultimi 20 anni sono state operate massicce deforestazioni, soprattutto in Indonesia e in Malesia, i due maggiori produttori. E ci sono state ripercussioni sulla biodiversità, emissioni di gas serra e anche sottrazioni di terre (land grabbing) alle popolazioni.
Per cercare di limitare l’impatto ambientale, nel 2004 è stata fondata la Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile (Roundtable on Sustainable Palm Oil, RSPO), di cui fanno parte produttori, aziende ma anche associazioni ambientaliste come il WWF. L’olio di palma certificato viene prodotto solo in certe aree, senza distruggere le foreste. Ma per ora i risultati sono modesti e solo il 14% delle piantagioni ha ottenuto l’attestazione di sostenibilità.
L’olio di palma fa male alla salute?
È l’aspetto più controverso, perché le accuse sono di causare problemi cardiovascolari, diabete, alcuni tipi di cancro. Abbiamo sentito in proposito il nutrizionista Giorgio Donegani, che invita a non demonizzarlo.
“L’accanimento contro l’olio di palma è sproporzionato rispetto ai suoi esiti sulla salute. Il suo aspetto negativo è l’elevato contenuto di grassi saturi, il 50%, in gran parte acido palmitico: numerosi studi e l’OMS sostengono che innalzino il colesterolo e provochino placche nelle arterie, con rischi per la salute cardiovascolare”.
Quanto consumarne?
Secondo le Linee Guida per una sana alimentazione dell’INRAN, i grassi saturi non devono superare il 7-10% delle calorie totale giornaliere (clicca qui). In pratica, su un fabbisogno giornaliero di 2000 calorie, significa non più di 20 g al giorno, tenendo conto che sono contenuti non solo nell’olio di palma ma in molti alimenti di origine animale come carne, salumi, formaggi, burro e quindi è facile l’effetto accumulo. L’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) rincara la dose e consiglia di consumarne una quantità il più bassa possibile (clicca qui).
“D’altro canto” aggiunge Donegani “l’olio di palma contiene anche grassi insaturi, come l’acido oleico dell’olio d’oliva; inoltre, essendo di origine vegetale, è privo di colesterolo, contenuto invece in un suo possibile sostituto come il burro.
Infine, il palma ha il vantaggio di non essere idrogenato. L’idrogenazione è trattamento per rendere i grassi saturi e quindi più stabili, che genera acidi grassi trans, molto dannosi per la salute. Un tempo si usava molto per le margarine, che sono state sostituite dall’olio di palma proprio per questo motivo”.
Colpevole o innocente?
Se la questione ambientale va indubbiamente risolta, quella nutrizionale come si diceva è molto dibattuta. Anche perché sono di recente spuntate nuove accuse contro l’olio di palma, come quella di essere correlato al diabete (Università di Bari, clicca qui). In attesa di ulteriori studi, su un punto sono tutti d’accordo: cerchiamo di consumarlo con moderazione. “In Italia, conclude Donegani ” non esistono stime sui consumi di palma. Rapportandole a quelle francesi, si calcola che ne assumiamo circa 3 g al giorno”. Se il tetto è 20 g di grassi saturi (vedi sopra), ciascuno deve regolarsi in base alla propria alimentazione.
Marina Cella
23 luglio 2015