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Vita da astronauti: 50 anni di cibo spaziale

News ed EventiNewsVita da astronauti: 50 anni di cibo spaziale

Nell’arco di 50 anni il cibo degli astronauti si è evoluto. E molto. Intanto anche sulla Terra si fanno simulazioni di come potrebbe essere l’alimentazione se ci trasferissimo su Marte.

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Samantha Cristoforetti è atterrata da pochi giorni, sta rapidamente recuperando l’equilibrio, il senso del peso e tra i primi commenti ha colpito quello sul profumo di erba che ha accolto gli astronauti appena approdati sulla Terra. In attesa di sapere cosa proverà a gustare qualche buona ricetta terrestre, abbiamo trovato un po’ di informazioni sull’evoluzione dell’alimentazione spaziale.

Sono passati più di 50 anni da quando John Glenn mangiò la prima razione cosmica, attraverso un tubetto simile a quello del dentifricio. Da allora c'è stata un'evoluzione incredibile nei menu destinati agli astronauti e altre ce ne saranno. I progetti in ballo sono molti: in particolare Angelo Vermeulen, membro della TED conference, un'organizzazione non profit che si occupa di progetti in cui convergono Tecnologia, Entertainment e Design, sta lavorando a un programma Nasa per simulare come e cosa si potrebbe cucinare e mangiare su Marte.

Negli anni ’60 pensare all’alimentazione interstellare era sinonimo di progresso allora come ora nelle fasi di studio erano coinvolte aziende innovative, specializzate in elettrodomestici e desiderose di mettersi alla prova su temi pioneristici. Per la missione dell'Apollo 7 del 1968 era stato progettato anche, su richiesta dell'equipaggio, il gelato spaziale. Peccato che nessuno della crew abbia mai effettivamente apprezzato il prodotto che si presentava come un cubotto di polvere liofilizzata con un sapore che, dicono, ricordava molto il polistirolo zuccherato.

Quello del gelato non è l'unico esperimento gourmet fallito. Tra le sfide più ardue ci sono quelle per portare il vino nello spazio, perché si tratta di una bevanda fermentata e tutt’altro che sterile. Discorso analogo per le bibite frizzanti che non sono ammesse perché non si riescono a controllare le reazioni delle bollicine in assenza di gravità.

Nel corso degli anni c’è stata un’evoluzione anche nello stile della tavola, se così si può dire: in assenza di gravità infatti il cibo galleggia nell'ambiente, ma per tenerlo saldo a vassoi e tavoli sono state sviluppati sistemi tipo velcro. L’idea era di rispondere a un’esigenza di natura quasi sociale: gli astronauti chiedevano, di potersi sedere a tavola a pranzo, come fanno tutte le persone.

Come spiega Vermeulen il cibo è uno dei fattori cruciali in una missione: alimentarsi è un’esigenza primaria dell’uomo e porta con sé anche una serie di importanti implicazioni psicologiche. Per questo prima della partenza la Nasa organizza sempre sessioni di valutazione di alimenti e bevande. Ne esistono oltre 200 varietà e tra gli enti che si occupano dello sviluppo c’è il Johnson Space Center’s Space Food Systems Laboratory di Houston. I test con gli astronauti hanno lo scopo di studiare di quali nutrienti ha bisogno il fisico: alcune sostanze sono indispensabili, mentre altre, visto che le condizioni sono diverse, vanno centellinate; per esempio ferro e sodio vanno tenuti sotto stretto controllo per non danneggiare le ossa.

Uno dei temi più appassionanti è quello dei sapori e delle consistenze: nello spazio sono totalmente stravolte. Spesso gli alimenti sono disidratati, per risparmiare spazio e peso, termostabilizzati e trattati in laboratorio per eliminare batteri e microrganismi. Raramente i cibi si presentano così come siamo abituati a vederli. Sale e pepe per esempio sono liquidi, mentre caffè e succhi sono in polvere. Le tortillas sono il pane dello spazio. I cibi freschi sono disponibili solo con lanci speciali, i sapori sono totalmente distorti, perché pastorizzati, i menu si ripetono in continuazione e i sapori sono diversi. A influire sono cambiamenti fisici veri e propri: nello spazio olfatto e gusto sono stravolti. Solo in alcuni casi le modifiche sono lievi, come per esempio il cocktail di gamberi che pare essere uno dei cibi più amati dagli astronauti. In una delle missioni del passato un astronauta ne consumava in continuazione a colazione, pranzo e cena.

La ricerca del cibo perfetto per lo spazio è un tema che ha appassionato molti chef che si sono messi a collaborare con la Nasa: l'obiettivo è trovare il sistema per alimentare gli astronauti per missioni anche molto lunghe. Per il momento non si può andare oltre i 18 mesi; l’idea è di rendere autosufficienti le navette spaziali, con coltivazioni idroponiche di ortaggi, patate, soia e fagioli. Il secondo passaggio è permettere all'equipaggio di cucinare. Questo è il più difficile, perché richiede l’uso di acqua ed energia (e tempo) che generalmente nello spazio sono risorse assai preziose.

Nel 2013 Vermeulen ha partecipato a una simulazione di quattro mesi per testare la possibilità di cucinare nello spazio. Gli esperimenti si sono svolti a Mauna Loa, un'area vulcanica al largo delle Hawaii che ha caratteristiche simili a Marte. La scoperta curiosa è che agli astronauti piace cucinare: guadagnano appetito e ci sono ricadute anche sulla coesione sociale del gruppo. Ci sono poi anche alcune piacevoli sorprese sensoriali: le verdure reidratate ritrovano colore e consistenza quasi naturali, altri ingredienti si trasformano magicamente. Per esempio le uova si presentano come cristalli: somigliano a zucchero giallo, ma mescolato con l'acqua ricordano molto le uova strapazzate.

L'obiettivo è anche di riuscire a riprodurre piatti internazionali su misura per i vari astronauti. E la vera sfida gourmet è di avere anche lassù i cosiddetti comfort food, i cibi coccola che piacciono sempre. Non è un caso che tra i piatti più apprezzati, anche nello spazio, ci sia il purè.

Barbara Roncarolo
15 giugno 2015

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