Al ristorante di ogni ordine e grado sta prendendo piede un modo nuovo di servire e servirsi delle pietanze ordinate, all’insegna della condivisione. Una cucina to share dove le entrée, le portate principali, i contorni e i condimenti sono disposti al centro del tavolo e gli ospiti invitati a prenderne liberamente, gustando un po’ di questo e un po’ di quello, in un’atmosfera che si fa all’istante conviviale.
A essere già abituati allo sharing table sono gli appassionati di ristoranti etnici. Da Adulis, storico indirizzo di cucina eritrea a Milano, Porta Venezia, in tavola troneggia il grande piatto dello zighinì, lo stufato di carne o pesce con salse e ortaggi, adagiato sul pane injera basso, morbido e spugnoso, che si usa per raccogliere il cibo direttamente con le mani. Poco lontano, un altro classico meneghino, Le Nove Scodelle, propone le specialità cinesi piccanti della regione del Sichuan, servite in tavola in ciotole che passano di mano in mano tra i commensali. Mentre sulla tavola di Mezè, ristorante libanese che recupera la tradizione locale del pranzo di famiglia, portate grandi e piccole, pani e focacce, verdure e insalate sono servite per tutto il tavolo sui tradizionali vassoi in lucido metallo inciso (foto in basso).
Un servizio del genere porta i clienti a cambiare il modo di pensare l’ordinazione. Non accade più che ognuno scelga per sé i canonici “corsi”: antipasto, primo, secondo. Piuttosto, si decidono insieme diverse pietanze che poi ci si scambia durante il pasto così che, alla fine, tutti avranno assaggiato i piatti di tutti. Certo, l’impostazione siffatta è estremamente casual, più adatta a gruppi di persone in confidenza tra loro che a pranzi e cene formali. Ma che sia un trend lo dimostra il successo di recenti aperture come Silvano, sempre a Milano, sottotitolo “Vini e cibi”, nato da una costola del ristorante Ratanà di Cesare Battisti. Al tavolo o al banco il cuoco Vladimiro Poma, accanto a piatti giocoforza “singoli” come l’uovo in salsa verde o il toast filante, ne propone altri che è bello condividere con gli amici come l’insalata russa al forno, le ciotoline di salse in cui fare scarpetta, la giardiniera, le verdure arrostite.
Questa libertà di servizio ha “contagiato” anche i locali di fine dining e grandi nomi come Paolo Lopriore (foto in basso), già pupillo di Gualtiero Marchesi, amano ricreare sulla loro tavola atmosfere più che familiari, dove ognuno assaggia quel che vuole. Così, nel suo ristorante Il Portico ad Appiano Gentile (Como), dove il menu cambia giornalmente, capita che una carne sia servita direttamente nella casseruola, le paste in bianco siano accompagnate da coppette di sughi e guarnizioni da assemblare a sentimento, i contorni arrivino in diversi piattini: con tanta scelta, ci si confronta tra i compagni di tavolo e si creano insieme abbinamenti inediti.
La bellezza di servirsi dallo stesso piatto o recipiente di portata diventa persino un modo per “rompere il ghiaccio” e rendere subito l’atmosfera rilassata anche nei ristoranti di alta cucina. Da Sui Generis a Saronno (Milano), lo chef Alfio Nicolosi propone un viaggio strutturato in atti, come a teatro: nel menu degustazione i primi due atti sono intitolati proprio “tocchi in condivisione” e riuniscono piccoli assaggi a centrotavola da mangiare con le dita (foto in basso), con l’intenzione dichiarata di rompere gli schemi sin dall’inizio del menu. Un progetto credibile che, a meno di un anno dall’apertura, ha già portato al riconoscimento della prima stella Michelin.
Quello dello sharing è un concetto che ormai coinvolge tantissimi settori: dall’economia alla mobilità, passando per il lavoro, le esperienze di condivisione si moltiplicano e arrivano anche in luoghi inaspettati come gli hotel. Oggi, l’accoglienza punta molto sul creare spazi e situazioni in cui gli ospiti possano confrontarsi con altri ospiti. Non fanno eccezione i ristoranti delle strutture ricettive che, da un lato, si aprono alle città, mettendo così in contatto viaggiatori e local, dall’altro studiano formule easy a tavola.
Al The Hoxton, nella Capitale, la cucina del ristorante Elio è affidata a Sara Cicolini (Santo Palato) con un menu di impronta romana che propone diversi piatti “per tutto il tavolo”. Una montagna di supplì dal cuore filante, anche nell’inedita versione carbonara (nella foto in basso) o un vassoio green di cavolfiore arrosto con burro acido, prezzemolo e crema di lenticchie alla cannella possono essere il preludio di un pasto che può proseguire tra amatriciana e cappellacci, spiedini e tagliate, fino agli immancabili maritozzi.
Una filosofia affine anima 21 House of Stories Navigli, hotel milanese di recentissima apertura che, grazie anche a cocktail bar e area coworking, ambisce a mettere insieme le persone e fare community. Creare le condizioni per questo incontro passa altresì dalla tavola del bistrot Domenica (foto in apertura del post e in basso): un nome, un programma. Domenica è il giorno in cui si sta in relax con i nostri cari, così la mise en place si ispira a un mood casalingo, piatti e bicchieri spaiati e multicolor, apparecchiati lasciando al centro lo spazio vuoto per accogliere le portate: “Tutte, dall’antipasto al dolce, sono in convivialità”, raccontano gli chef Diego Pioli e Roberto Alessio Albiero.
Si presta molto bene al concept la loro cucina, italiana e di stagione, con guizzi creativi discreti, una scorza di agrumi, un ortaggio candito, a ravvivare ricette della tradizione. “Essendo la condivisione il fulcro, c’è la possibilità di provare più piatti”, spiega Albiero. Stesso discorso per i cocktail che il bar manager Franco Tucci Ponti sta studiando in versione magnum, perfetta per aperitivi in compagnia in cui ognuno può versarsi nel bicchiere quanto desidera. Last but not least, grazie alle quantità generose lo scontrino del ristorante riesce a essere contenuto: “Le nostre porzioni sono grandi - interviene infatti Pioli - non consideriamo neanche la mezza porzione, piuttosto una porzione e mezza: così, ce n’è per tutti”.
Ecco allora che al ristorante torna il caro vecchio piatto ampio da portata, riportando in auge il servizio detto alla francese, dove sono i commensali stessi a servirsi da soli. La pietanza “sovradimensionata” per i cuochi nasconde una sola criticità, come spiegano Pioli e Albiero: “Riuscire a mantenere, in una quantità maggiore, lo stesso equilibrio di sapori e consistenze della preparazione impiattata singola”. Una sfida per i professionisti che ben conosce pure chi cucina a casa, per familiari e amici. E sì: ci sarà sempre qualcuno, più fortunato o svelto degli altri, che riuscirà ad accaparrarsi la parte bruciacchiata e croccante della lasagna, la coscia dorata del pollo, la fetta di torta con la ciliegina. Ma anche questo è il bello di mangiare tutti insieme, attorno alla stessa tavola.
Francesca Romana Mezzadri
Novembre 2023
Foto Paolo Lopriore di Stefano Caffarri
Foto Sui Generis di Alessandro Barattelli