Scende sottoterra a fine estate, bianco e cilindrico; risale in autunno più scuro, con macchie di muffa e grasso. Stagionato per tre mesi nelle fosse, il formaggio ne esce trasformato: se l’aspetto non ne guadagna, il sapore si esalta.
Sull’Appennino romagnolo-marchigiano la tradizione di interrare caciotte in buche scavate nel tufo risale al Medioevo: per proteggerle da guerre e razzie o per conservarle durante l’estate e riprenderle prima dell’inverno.
Ancora oggi a Sogliano di Romagna, la “capitale” del formaggio di fossa, il 25 novembre è dedicato alla cerimonia della sfossatura: rimossi i coperchi di legno che sigillano le cavità, ecco comparire le caciotte, in sacchetti di tela bianca con il nome del proprietario. Nello stesso periodo Sogliano ospita una grande sagra mentre nel Riminese si festeggia l’Ambra di Talamello: in omaggio al suo colore dorato, fu così che il poeta Tonino Guerra battezzò il formaggio stagionato tipico di questo borgo.
L’area di produzione delle straordinarie caciotte, dal 2009 contrassegnate dal marchio Dop (Formaggio di Fossa di Sogliano Dop), si estende sulle colline fra Romagna e Marche, ma il loro segreto è lo stesso: le fosse. All’interno di queste cavità di arenaria foderate di paglia e canne, il formaggio rifermenta in assenza di ossigeno, perdendo acqua, siero e grasso.
Dopo 90 giorni la forma è irregolare, quasi priva di crosta; l’aroma ricorda il sottobosco con sentori di muffa e tartufo; la pasta, semidura e friabile, ha sapore intenso che va dal delicato al piccante, con retrogusto amarognolo, a seconda del latte di partenza: in prevalenza pecorino oppure vaccino e misto.
Al naturale, come piace agli intenditori, il gusto deciso del formaggio di fossa si accompagna con le note dolci di miele, confetture di frutta, in particolare il tipico savor (a base di mosto d’uva, mele cotogne, pere e frutta secca), fichi caramellati, aceto balsamico. Grattugiato, insaporisce primi piatti (paste, risotti, pasticci), bruschette e carpacci di carne. In cucina è l’ingrediente di cappelletti, passatelli, gnocchi; arricchisce minestre e zuppe, polpette, crocchette e involtini, frittate e insalate, sformati e verdure ripiene.
Il formaggio di fossa ha una forza sapida e odorosa difficile da amministrare: i bassotti della ricetta da un lato attenuano l’energia tufacea e dall’altro liberano l’essenza del latte ovino. Per bere il vino giusto scegliamo un duttile Valpolicella Superiore, ottenuto col corroborante metodo del ripasso (si usano le vinacce di uve appassite), in virtù della sua trama vellutata che non disperde la fusione tra gli ingredienti.
Marina Cella
Foto: Maurizio Lodi
Scelta del vino: Sandro Sangiorgi