A qualcuno piace freddo
Del mio vitello tonnato non rimane mai una fetta e penso sia la stessa cosa del vostro: lo preparo la sera prima, lo servo freddo, ma non troppo, ben nappato di salsa tonnata. A casa mia piace la ricetta superclassica, ma non ho mai fatto assaggiare il vero “vitello a uso tonno”, come si chiamava la preparazione un secolo fa, discostandosi dall’attuale per cottura e salsa.
La ricetta originale non conosceva la maionese e, sfogliando i ricettari di cucina piemontese, lombarda e veneta che si contendono la paternità del piatto, si trovano spunti interessanti. Già Artusi stecca la carne di vitello con due acciughe aperte e spinate, la lessa in un brodo aromatico, la scola e la tiene per 2-3 giorni in un vaso coperta da una salsa di tonno e acciughe disfatte, olio, succo di limone e capperi.
In Piemonte la salsa si faceva aggiungendo anche tuorli semisodi, prezzemolo, aceto e brodo e la cottura del “rotondino” o “girello” non prevedeva necessariamente la lessatura nel brodo: poteva venir marinato e cotto in casseruola con acciughe dissalate, poca farina, un tuorlo sodo e la marinata.
Tra le molte ricette trovate due hanno attirato la mia attenzione: la prima, il vitello ad uso pesce-tonno, è di Maria Ferrari detta “Pimpinella”, una signora trentina vissuta tra l’800 e il ’900; l’altra è veneta della famiglia Andrich ed è davvero curiosa.
Definita “vedel uso tonno, el megio de tuti”, prevede di steccare la carne con prosciutto e acciughe sotto sale, di legarla e metterla in casseruola con alloro e tanto olio da coprirla, spostandola poi sulla cenere calda dove sosta un minimo di 10 ore, sempre coperta d’olio. L’autore, in una nota, avverte le massaie di non preoccuparsi per la quantità d’olio usato: lo potranno riadoperare per altre cotture. La carne invece finisce servita fredda, a fettine nappate da una salsa di capperi.
di Laura Maragliano
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